Boris cuor di leone (e gli altri)

Più che una questione democratica, la vicenda del referendum per la Brexit sta diventando faccenda per gli autori di satira politica. Non si era mai visto, in tempi recenti, un tale concentrato di autogol, superficialità, impreparazione, incertezze. E ci riferiamo sia agli elettori che ai loro rappresentanti, che in teoria dovrebbero guidarli. In teoria, appunto.

Nei fatti, la classe dirigente britannica si è mostrata totalmente imbelle e priva di coraggio. Dispiace suonare un po’ antipolitici, ma forse in questo caso siamo legittimati a generalizzare. I due grandi partiti del Regno Unito, quelli che ne hanno fatto la storia, ne sono usciti con la credibilità a pezzi.

I conservatori sono stati quantomeno ondivaghi. David Cameron ha firmato il suicidio più spettacolare: da premier recentemente eletto con una grossa maggioranza a premier dimissionario, il tutto per una mal preparata manovra interna al suo partito. A Bruxelles alzava la voce minacciando la Brexit, forse dimentico che la prima sua coalizione di governo fu con i liberal democrats, gli improbabili europeisti di Nick Clegg (in effetti, un’esperienza da dimenticare). Quando tornò a più miti consigli, era già troppo tardi: il resto è storia nota. Paradossalmente, tuttavia, le mosse di Cameron sono state forse le più coraggiose dell’establishment britannico. Folli, sì, ma senz’altro impavide: la lotta con l’UE, quella con i colleghi di partito e non ultimo la scelta di abbandonare la guida del Paese. Coraggio e vigliaccheria allo stesso tempo, punti di vista. Ma forse l’unica scelta giusta, oltre che obbligata, di una premiership fallimentare.

I restanti leader hanno offerto un campionario davvero ricco di modelli di audacia.

Farage ha avuto il coraggio di portare avanti una campagna basata sulle menzogne, e soprattutto il coraggio di smentire, con un’ammirevole faccia tosta (che qualsiasi politico sognerebbe!) le sue mirabolanti promesse a poche ore dall’esito del voto. Poi ha avuto anche il coraggio di presentarsi al Parlamento europeo, di subire il (meritato) bullismo politico di Juncker, e addirittura di lanciare bastoni (“Adesso non ridete!”, “Non avete mai lavorato in vita vostra”) e carote (“Vogliamo restare amici”) agli ululanti colleghi. Ad ogni modo, Farage manterrà il suo seggio da europarlamentare fino alla fine (anche qui, che coraggio).

Corbyn sembra aver perso lo sprint che l’ha portato alla leadership dei laburisti; la sua campagna, di basso profilo, ha rappresentato al meglio la storica ignavia della sinistra anglosassone, europeista a fasi alterne: a mancare è stato proprio il coraggio di rompere per sempre un tabù tutto inglese, quasi inedito tra i riformisti del continente. I dirigenti laburisti, dal canto loro, hanno preso la palla al balzo per sfiduciare il loro odiato leader, cercando di relegarlo precocemente nella lista dei perdenti storici del partito (ma non è ancora finita). Certo che a loro bisogna riconoscere il merito e il coraggio di azzoppare il partito in un momento in cui le opportunità di attaccare i conservatori fioccavano a tempesta. Tafazzisti, tafazzisti everywhere.

Infine lui, Boris Johnson. Ex sindaco di Londra, leader riconosciuto del “leave” nonché probabile successore di Cameron. Anzi no. Nel discorso più atteso non è riuscito a rinunciare al suo humor, ma è riuscito comunque a stupire tutti: “Ed ora eccovi la battuta finale del mio discorso, quella che attendete tutti. Questo Paese ha bisogno di un premier, ma quel premier non sarò io”. La lotta per la successione dei conservatori vedrà il compagno di battaglia Micheal Gove al suo posto, contro l’attuale ministro degli interni Theresa May. Gli indizi portano a una defenestrazione premeditata, la verità forse non la sapremo mai. Di fatto però, i primi devastanti effetti della Brexit, uniti alle contestazioni ricevute da Johnson, devono avere inciso sulla scelta. Lo spazio tra la retorica e i fatti è vasto, troppo vasto persino per l’eccentrico Boris. Lui forse continuerà a sventolare l’Union Jack, qualcun altro al posto suo (e per merito suo) dovrà invece fare un po’ di conti con la realtà. Chissà chi, chissà come.

Alla fine, sembra che il risultato del referendum abbia spaventato tutti, persino i più accesi sostenitori della Brexit, oggi in silenzio o quasi. Soprattutto, sembra che abbia aperto il vaso di pandora delle irresponsabilità politiche, molto più diffuse e profonde di quanto si credesse.

Dio salvi la Regina, perché è nuda.

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