Ciao Kant, non abbiamo capito una mazza

Mi è stato più volte fatto presente che la gente del sud, a differenza di quelli del nord è, o pare essere, più attaccata alla propria terra. Non so, non credo sia esatto. Forse, più semplicemente, in proporzione sono più le persone del sud che lasciano casa propria e si sa, meglio di casa propria non c’è nulla.

Io sono una di quelle che è emigrata, per una serie di motivi, tutti più o meno personali e da paraculo. Casa mia mi manca e se si spacca l’Etna e offre uno spettacolo come quello di questi giorni, io sono quella mediocre che mette la foto su FB e ne è pure contenta. Sono quella che fa la foto del pacco che arriva con l’olio e il pecorino e i biscotti e le scacciate della mamma. Sono quella che dice che Torino è stupenda, l’equilibrio perfetto tra grande città e città attenta al singolo, ma che è comunque una città senza mare. Come si può vivere senza mare?

Insomma sono la tipica terrona che dice “come casa mia, nessuna”, con tutti gli annessi e connessi.

Fortunatamente però, i miei genitori hanno fatto un lavoro a regola (d’arte non saprei), ho due occhi per vedere e due orecchie per sentire. Quando sono a casa so esattamente dove andare per lasciarmi senza parole, so esattamente che autori della mia terra leggere se voglio crescere, conosco la bellezza e la cultura che hanno portato la mia terra, così piccola in confronto al resto del mondo, ad essere conosciuta e apprezzata. La magna grecia, il barocco, Dionisio, arabi (!!), angioini, aragonesi. Insomma tutte quelle sviolinate li che me la fanno spacchiare (inorgoglire ndr) non poco.

Eppure conosco i limiti del posto in cui sono nata e cresciuta. Il cancro nato in seno alle ginestre della Conca d’Oro, tra il duomo di Monreale e le spiagge di Gela (distrutte da uno stato che creando “cattedrali nel deserto”, si scherma dietro un “però il lavoro ve l’abbiamo creato”, come se il prezzo del pane valesse il prezzo di una vita, per approfondire: http://www.internazionale.it/reportage/2015/04/17/sicilia-petrolchimico ): la mafia. E’ difficile parlare del concetto. Non è la morte di Falcone o Borsellino, oddio! Certo che lo è! Ma quelle sono “manifestazioni” sporadiche in confronto all’atteggiamento mafioso che è insito nel siciliano, in maniera più o meno velata. In effetti è molto più facile vederla nell’”inchino” che la vara (oggetti della religione/folklore siciliano) fa davanti al boss legato al clan Santapaola, il tutto condito da sottofondo con musica de “Il padrino”, a Paternò, paese in provincia di Catania. Da nausea. Da sdegno. Da incazzamento a livello super sayan.

E cos’è l’atteggiamento mafioso se non l’ineducazione e la mancanza di rispetto per ciò che, nell’iperuranio, è lo Stato?

Ho letto che ieri sono state mosse due critiche (sia lode alla critica! Fa muovere il mondo signori! Kant c’ha perso tutta la vita dietro il concetto di critica) all’ineducazione dei siciliani. O meglio, una era una critica, per quanto condivisibile o meno è una critica che fa sorgere alcune domande. L’altra è un tweet del capogruppo al Senato del M5S tale Santangelo, trapanese, che visto lo spettacolo eruttivo dell’Etna, ha pensato bene di scrivere che “potrebbe risolvere i problemi dell’Italia”, volendosi riferire alla mafia, non ai siciliani. Ci credo, davvero. Alla fine è un siciliano, però, gioia mia, lo capisci che il frame, il contesto è importante?

La seconda critica viene dal professore/paroliere Vecchioni. Ieri ad una lectio magistralis a Palermo ha tenuto un discorso che di illuminante aveva ben poco ma che sicuramente era giusto. Il tutto è stato travisato da giornalisti che del loro lavoro non ne capiscono più una cippa, riportando solo “la Sicilia è un’isola di merda” (certo da un paroliere e prof mi sarei aspettata qualcosa di più ricercato e meno dozzinale, ma vabbè). Il discorso non si fermava li, fortunatamente. Faceva riferimento a quell’inciviltà e ineducazione e sfanculamento dei valori e della bellezza che farebbero risplendere la mia terra. Niente di nuovo sotto il sole, ma non è mai troppo il ripetere che la madre di tutti i disastri sta proprio nell’inciviltà. Voglio collocare il discorso del cantautore all’interno di questa cornice, sperando di non fare il passo più lungo della gamba.

Sono perfettamente d’accordo allora, mio caro prof! La Sicilia è un’isola di merda!

Però ecco mi viene “qualcosa qui” quando sento le critiche. Ripeto, giustissime. Ma poi?

Tempo fa discutendo con alcuni ragazzi del mio piccolo paese che si opponevano, giustamente, alla presenza di un pregiudicato neomelodico (si, in Sicilia si ha questo…gusto particolare per il neomelodico) nel calendario delle feste padronali mi son ritrovata ad avere lo stesso “qualcosa qui” ascoltando quelle ragionevoli critiche. Dopo la critica cosa c’è? Dopo la presa di coscienza cosa succedere?

Cos’è una critica? Beh, secondo me, che non sono nessuno e un’ignorante patentata, è una presa di coscienza di un elemento, una situazione, un ambiente non conforme alla consuetudine “giusta”, in questo caso. Di solito si critica qualcosa di negativo ma per me era negativo il cantante neomelodico nel mio paese, per le centinaia di persone in piazza quella sera magari no. In ogni caso una critica potrei definirlo come uno “scostamento del velo di Maya” che porta alla consapevolezza del “male” che ci accingiamo a discutere. Bene, praticamente la critica è il primo step. Poi?

Ecco, signori, cosa minchia c’è dopo la critica?

No perché sia lode alla critica, elemento che eleva l’uomo, che permette il pensiero, che accresce consapevolezza, ma il fine qual è? E’ la stessa critica? no perché così la definirei critica cretina. A che serve dire “questa cosa non va per questo motivo” e poi affanculo?

Io sono d’accordo con Vecchioni, sono d’accordo con quei miei compaesani, ma della critica senza seguito costruttivo, scusate, ma mi ci asciugo il mio critico naso.

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