Cina, il ritorno della Diplomazia delle Cannoniere

Nel luglio del 1911, la cannoniera tedesca Panther entrò nella rada di Agadir, in Marocco. L’allora Impero Tedesco mirava infatti a creare un protettorato in Nord Africa per contrastare le mire espansionistiche francesi. La presenza navale rappresentava, quindi, la pressione militare diretta della marina tedesca.

Altri tempi, è chiaro. Il colonialismo era la regola e gli scontri tra le potenze europee erano all’ordine del giorno. Quest’episodio, però, rappresenta un esempio da manuale di quella che viene definita la “diplomazia delle cannoniere” o gunboat diplomacy, “inventata” dalla Royal Navy già nel ‘700.

Questa particolare forma di proiezione della forza militare è stata a lungo usata dalle potenze coloniali che esercitavano la propria influenza in numerose situazioni di tensione internazionale servendosi della sola presenza navale.

La Guerra Fredda, con due “poli” di potere, la presenza di un deterrente atomico e la conseguente nascita del concetto di Mutua Distruzione Assicurata (Mutual Assured Destruction), ha di fatto reso obsoleta e anacronistica la diplomazia delle cannoniere.

Almeno fino a qualche anno fa. La storia è ciclica e tutto, prima o poi, si ripete. Certo, le tecnologie si evolvono, i gli attori cambiano e le strategie non sono più quelle di un secolo fa.

Nel XXI secolo qualcuno credeva che l’epoca delle flotte fosse finita. Soppiantate dalla supremazia aerea, alle Marine militari di mezzo mondo spettava solo un ruolo di “trasporto” e copertura alle truppe dislocate nelle varie aree del pianeta. La realtà, come vedremo, è ben diversa.

In Estremo Oriente, infatti, sembra di essere tornati al XIX secolo, i tempi d’oro della diplomazia delle cannoniere.

La crescente influenza cinese nel mare che porta il nome dell’ex Impero di Mezzo si era fino ad oggi limitata ad un’infiltrazione economica. I paesi del sud est asiatico hanno quasi sempre beneficiato da questa penetrazione commerciale, riuscendo in determinati casi a diventare veri e propri competitor del Dragone. Vietnam, Filippine, Malaysia e Corea del Sud hanno fatto enormi passi avanti in termini di crescita economica e competitività internazionale. Il Giappone, storico rivale della Cina, ha sofferto invece una profonda crisi economica/politica fin dagli anni ’90, superata solo recentemente.

Vien da chiedersi quindi, dove sia il problema. Le economie asiatiche crescono a ritmi sostenuti, togliendosi di dosso l’immagine di paesi arretrati, prettamente agricoli e garantendo un miglior tenore di vita a milioni di persone.

L’ABC dell’economia però, ci ricorda che non ci può essere crescita senza un costante afflusso di risorse naturali. Tutti i paesi dell’area, con rarissime eccezioni, sono costretti ad importare la quasi totalità delle risorse energetiche necessarie al mantenimento dei sistemi industriali che garantiscono la competitività stessa delle economie nazionali.

Recenti esplorazioni hanno portato alla luce enormi giacimenti di petrolio e gas proprio nell’area del Mar Cinese meridionale. Secondo diverse stime, le riserve verificate di petrolio presente nel Mar Cinese Meridionale oscillano tra i 7 e gli 11 miliardi di barili con previsioni finali di 130 miliardi, mentre le riserve di gas si attesterebbero a più di 25mila miliardi di metri cubi. Prevedibilmente, nell’arco di qualche settimana dall’annuncio tutti i paesi rivieraschi hanno avanzato pretese di controllo sugli arcipelaghi Paracel e Spratly. Si tratta perlopiù di isolotti disabitati e inospitali.

Agli “scogli” già presenti e in parte occupati da tutti i paesi interessati, si aggiungono delle isole artificiali (oltre 10) che il governo cinese sta costruendo per garantirsi una presenza permanente. Si tratta di veri e propri avamposti militari con tanto di porti e piste d’atterraggio in cui Pechino ha già cominciato a dispiegare i primi mezzi e che il Pentagono non ha esitato a ribattezzare come la “Grande Muraglia di Sabbia”.

Tuttavia il Mar Cinese Meridionale è cruciale anche – e soprattutto – per la sua posizione strategica. Per le sue acque, infatti, transitano ogni anno merci per un valore superiore ai 5 mila miliardi di dollari, delle quali circa un quarto sono statunitensi, facendone così uno dei mari più trafficati al mondo.

La Cina dipende per oltre l’80% dal commercio estero, specialmente quello marittimo. Pechino ritiene quindi che un’eventuale blocco navale metterebbe a serio repentaglio non solo la sua stabilità economica ma anche la sicurezza nazionale.

Naturalmente, per poter controllare un’area così estesa e con così tanti players coinvolti bisogna disporre di una forza navale capace di proiettare la potenza ben oltre le zone costiere.

Questo è uno dei motivi per cui la spesa militare cinese continua a crescere ormai da diversi anni; fatto ben noto a Stati Uniti e alleati dell’area Asia-Pacifico che guardano a questi sviluppi con preoccupazione. Se però fino ai primi anni 2000 il grosso del budget della difesa cinese era rivolto ad Aeronautica ed Esercito, ad oggi il quadro è decisamente diverso.

Attualmente la PLAN (People’s Liberation Army Navy) non è ancora pronta tecnologicamente ad affrontare direttamente gli Stati Uniti o il Giappone. Tuttavia, la marina cinese dispone di un numero di sottomarini superiore rispetto a quello degli Stati Uniti e può dispiegare oltre 100 unità da combattimento di superficie, mentre in cantiere vi sono già due portaerei (oltre a quella operativa in flotta).

A questa situazione potenzialmente foriera di ben più alte tensioni, Pechino risponde con la sua solita politica pragmatica di non contrapposizione frontale. Il governo rassicura che la politica cinese nei confronti dei vicini non è cambiata: resta e resterà una sorta di “zero problemi con i vicini” importata dalla Turchia e declinata secondo gli interessi cinesi.

I Paesi limitrofi, però, vedono con crescente sospetto e preoccupazione la presenza militare dell’ingombrante vicino e per bilanciare la soverchiante forza cinese attuano una duplice politica. La prima è chiedere il supporto statunitense, concedendo basi aeree e porti sicuri alle unità americane presenti nell’area. Curiosamente, a chiedere aiuto a Washington non sono solo gli storici alleati degli USA nel Pacifico come Giappone, Taiwan e Filippine, ma anche Vietnam e Indonesia, paesi storicamente ostili o indifferenti alla presenza americana nell’area.

L’altra politica è piuttosto prevedibile in simili situazioni: tutti i Paesi dell’area hanno incrementato la spesa per la difesa fino a livelli mai visti prima in questa parte del globo, innescando una vera e propria corsa agli armamenti. Dal Vietnam alle Filippine, passando per il Giappone, si assiste ad un riarmo che non può non destare preoccupazione.

Perché allora, parlare di un ritorno della “diplomazia delle cannoniere”? Semplice. Il messaggio che Pechino lancia ai paesi rivali è chiaro e diretto: Occuperemo le isole Paracel e Spratly perché nessuno dei contendenti ha una forza militare in grado di opporsi realmente.

Curioso quindi, che in poco più di un secolo la Cina si sia trasformata da “vittima” a “carnefice” della diplomazia delle cannoniere.

Washington non potrà stare a guardare: secondo alcuni studi, per il 2020 la marina statunitense potrebbe non essere più in grado di vincere una guerra nel Mar di Taiwan. Dato che aumentare le spese per le costruzioni navali sembra una strada non percorribile per le finanze americane, toccherà agli alleati “pacifici” giocare un ruolo sempre più attivo nel contenimento cinese. Chissà che non vedremo risorgere la SEATO, l’alleanza militare del Pacifico clone della NATO messa in piedi dagli Stati Uniti negli anni ’50, poi crollata sotto gli effetti della guerra in Vietnam.

A questo punto, una considerazione è d’obbligo. La rivendicazione delle isole, la corsa agli armamenti, il poderoso dispiegamento di forze, la creazione di basi avanzate e la presenza di unità aeronavali che si scrutano a vicenda 24 ore su 24 rende attualmente il Mar Cinese Meridionale (e più in generale l’intero Estremo Oriente) uno dei luoghi potenzialmente più esplosivi del Globo.

“La prudenza ci impone di schierare le nostre navi per osservare le vostre. Il suo governo farebbe bene a considerare che tale vicinanza tra le nostre navi e le vostre, tra la vostra flotta aerea e la nostra, per le ragioni che può immaginare è estremamente pericolosa, molte guerre sono cominciate così, caro signor ambasciatore”.

La citazione, tratta dal famoso film Caccia a Ottobre Rosso, sintetizza in pieno i rischi e le minacce della diplomazia delle cannoniere. Il rischio c’è ed è reale. Auguriamoci solo che la citazione resti una bella frase “rubata” da un bellissimo film.

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