Cinque falsi miti sull’Unione Europea

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Cos’è l’Unione Europea? Qual è il suo senso? Dove andrà a finire? Queste domande esistenziali sono ormai all’ordine del giorno del dibattito politico. Il punto è che, in buona fede o no, le risposte che forniscono i leader di partito e d’opinione sono molto spesso fuorvianti. Da un lato c’è la fazione “Europa buona – Stati cattivi”, che liquida ogni richiesta di riforma come un’inutile lamentela localistica, gettando via il bambino (sì alla democrazia, no all’austerity) con l’acqua sporca (il populismo). Dall’altro ci sono quelli che “Stati buoni – Europa cattiva”. In pratica, quelli che sono “contro”. Contro la libera circolazione, contro la moneta unica, contro l’integrazione. Considerano l’Ue una specie di matrigna che maltratta e schiavizza i paesi membri, privandoli del loro bene più prezioso: la sovranità. Oltre questo manicheismo la verità è ben diversa.

Per capire l’Unione Europea bisogna innanzitutto conoscerne le istituzioni. Vediamo le quattro principali, su cui spesso persino i media fanno molta confusione:

* Consiglio Europeo: è la riunione dei capi dei 28 esecutivi dei paesi membri. Esso è a sua volta una sorta di capo politico dell’Ue. Ne decide il programma e l’agenda politica, ha un importante ruolo nelle nomine delle cariche più importanti ed è chiamato a risolvere i contrasti più gravi tra gli stati.

* Commissione Europea: è formata da 28 commissari (anche se si è deciso che saranno ridotti), nominati di comune accordo dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo. Ciascuno di essi si occupa di una tematica differente ed è a capo di una struttura burocratica. Si occupa di scrivere i progetti di legge e di vigilare che i governi nazionali non violino le regole dell’Unione Europea.

* Consiglio dei Ministri (o Consiglio dell’Unione Europea): da non confondere assolutamente con il Consiglio Europeo. Esso partecipa insieme al Parlamento Europeo alla formazione delle norme e di volta in volta, in base all’oggetto della legge da visionare, si riunisce chiamando a Bruxelles i ministri dei governi nazionali che si occupano della tematica in discussione.

* Parlamento Europeo: è l’organo rappresentativo dei cittadini europei. E’ formato da 751 membri ed essi lavorano all’interno di gruppi, i quali a loro volta riuniscono i vari partiti nazionali che condividono la stessa ideologia. Non ha il potere di presentare proposte di legge, ma può modificarle e possiede inoltre il compito di approvare il bilancio.

Fatta questa necessaria premessa, possiamo identificare alcuni dei più triti luoghi comuni sull’UE.

1- “Ce lo chiede l’Europa”. E’ vero, l’Unione Europea sanziona gli Stati che non rispettano le leggi da essa stabilite. Ma chi definisce gli orientamenti politici generali che ispirano queste norme? Il Consiglio Europeo. Inoltre gli stati membri hanno anche un certo controllo su tutto l’iter legislativo, dato che i ministri dei governi nazionali partecipano alla presentazione di emendamenti insieme al Parlamento. Dunque nella maggior parte dei casi “ce lo chiede l’Europa” è una frase che tace sulla verità più grande: il consenso degli stati è indispensabile per qualsiasi decisione presa a Bruxelles. Sarebbe onesto specificarlo. Spesso però è conveniente addossare sull’Europa scelte ingiuste e impopolari che fanno da “parafulmine” ai governi nazionali.

2-”Siamo schiavi della Bce”. Anche qui bisogna fare molti distinguo. Un singolo stato non può più gestire in autonomia la moneta, ma sarebbe scorretto immaginare delle imposizioni dall’alto provenienti dalla Banca Centrale Europea. Quest’organo è

politicamente indipendente, tuttavia gli stati membri possono indirettamente influenzarne le decisioni tramite le nomine (il Presidente in primis). Inoltre nel Consiglio Direttivo, il principale organo della Bce, siedono tutti i governatori delle banche centrali dei paesi membri. Dunque gli stati non hanno un controllo diretto sull’operato della Bce, ma non sono neanche del tutto assoggettati ad essa.

3- “Il semestre italiano”. I media hanno fatto una grandissima confusione. Nel 2014 l’Italia non ha avuto la “presidenza dell’Ue”, che peraltro non esiste, ma quella del Consiglio dei Ministri. In pratica, quando di volta in volta i ministri dei governi nazionali si incontravano per discutere di una questione, quello italiano presiedeva la riunione. E’ più che altro un ruolo di coordinamento dei lavori, tanto che la presidenza non è frutto di un’elezione ma di una rotazione stabilita dagli stati membri stessi. Il paese che al momento detiene la presidenza può inserire in agenda una questione che gli sta a cuore, ma questo è ben lontano dal far cambiare direzione all’Europa, come hanno asserito certi politici e giornalisti a proposito del semestre italiano.

4- “L’Europa è solo austerity”. Indubbiamente negli ultimi anni è stata adottata una vergognosa politica lacrime e sangue, ma l’Unione Europea non può essere assolutamente ridotta a questo! Innanzitutto svolge un importante ruolo nella cooperazione internazionale, fornendo aiuti umanitari in zone di crisi, ma sopratutto tramite missioni civili che hanno come obiettivo quello di rinforzare la democrazia nel paese straniero in cui si agisce. Si pensi poi alla politica culturale e ad un importantissimo progetto come Erasmus. In secondo luogo, dovremmo fare più attenzione alle decine di sanzioni cui è stata condannata l’Italia per non aver rispettato le regole europee: la maggior parte di esse riguarda l’ambiente, i diritti dei disabili, il sovraffollamento carcerario e la tutela dei consumatori. Tutte materie in cui l’Italia è decisamente indietro rispetto alla media continentale.

5- “Torniamo alle frontiere”. Vorrebbe dire far crollare la colonna portante dell’Unione Europea, il Trattato di Schengen che sancisce la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali nel territorio degli stati aderenti. Proviamo solo ad immaginare cosa vorrebbe dire tornare alla debole lira, insidiata dalle tempeste del capitalismo finanziario. Oppure tornare ai dazi doganali con Francia, Germania o Spagna, verso i quali si dirige complessivamente il 28% delle esportazioni italiane. O magari rinunciare all’integrazione culturale. Insomma, l’Europa tornerebbe indietro di sessant’anni. Suvvia: nell’epoca della crescente globalizzazione ci sarebbe ancora spazio per i piccoli stati-nazione?

Insomma: come spesso accade, la verità sta nel mezzo. L’Unione Europea necessita di profonde riforme, ma gli stati non riescono ancora ad accettare che viviamo in un mondo non più a misura di nazione. La spinta propulsiva dovrebbe provenire proprio dalla società civile, ma è essenziale metterci in testa che ad alzare barriere ci perdono tutti. Soprattutto i più deboli.

Samuel Boscarello

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