Curare e guarire: lo spirito dell’uomo che cura e viene curato.

Mia nonna, una gran Donna davvero, un giorno s’ammalò di cancro.

La notizia in un primo momento ci sconvolse. Mia nonna, senza tanti mezzi termini, era ( già, era. ) la colonna portante di una famiglia intera. Una Donnona davvero. Che si divertiva, sapeva farlo e sapeva anche e maggiormente far divertire chi gli stava intorno. Una Donna davvero piacevole. Di umili origini, umile a sua volta ma con una grande e forte volontà e dal carattere indomito.

Era una gran Donna. Grande anche fisicamente. Aveva cresciuto tre figli maschi. Una Donna davvero forte. Tanto forte che batteva mio padre e i miei zii a braccio di ferro. Una figura prorompente. Una figura taurina con una cresta leonina tenuto a perfezione come un drappo di rappresentanza, un grande sorriso, occhi svegli e tanto affetto per noi nipoti. Una donna che se doveva dare uno scappellotto a mio zio, che era ben più alto, prendeva lo sgabello, saliva e gli dava uno scappellotto. Una donna che camminava sempre con le caramelle in tasca MA che teneva anche uno spillone molto lungo nell’altra. Così, ogni tanto, quando qualcuno diceva qualcosa di sbagliato…si sentiva “ahi!”. Non scherzo mica. Lo faceva davvero.

Non fu facile vivere quel periodo. Pian piano che i cicli di chemioterapia diventano sempre più frequenti, mia nonna pian piano si rimpiccioliva. Si rimpiccioliva nel corpo ma non nello spirito. La vedevo diventare sempre più minuta. Asciugarsi. Quelle sue enormi braccia che una volta trafficavano e che mi prendevano in braccio quando ero molto piccolo, che sollevavano ingenti pesi come fossero fuscelli, ora, erano poco più che ramoscelli oscillati dal vento. Quella sua grande forza fisica era stata, ora, completamente prosciugata da quel male. Il drappo leonino era scomparso. Il sorriso, no certo…ma gli occhi erano stanchi, molto stanchi. E questo lo ricordo bene.

Un giorno, in ospedale, non trovai mia nonna nella sua stanza. Mi girai intorno e vidi che mancava la vestaglia e le pantofole. Uscii dalla stanza e mi misi ad ascoltare. Sentii la sua voce, riconoscibilissima, malgrado tutto, tra mille. Pur stanca, pur afflitta, pur consumata da un male che da lì a poco l’avrebbe estirpata da una famiglia che ancora la piange, mia nonna, questo piccolo esserino che si trascinava con forza e caparbietà, era in una stanza con altre signore, a raccontare una barzelletta. E che risate.

Vi rendete conto? Una barzelletta. Quando qualsiasi altra persona, avrebbe atteso con disperazione e rassegnazione la propria morte, nell’agonia evidente di un volto emaciato e consumato dalla chemioterapia, cosa stava facendo mia nonna? Raccontava una barzelletta con enfasi per far ridere altre signore.

Ecco. La mia riflessione, oggi, comincia da qui. Da questo ricordo. Intenso. Profondo. Che dimora ancora e che mi auguro sempre lo farà, tra le mie memorie.

Perché ho utilizzato Cura e Guarigione. Perché riflettendovi, mi son reso conto che questi due termini, pur simili tra loro ma non inerenti alla stessa azione, allo stesso processo per meglio dire, tendono ad essere erroneamente scambiati vicendevolmente. Capita spesso di sentir dire, “non v’è guarigione per questo male” o ancor meglio e più calzante “la medicina ha guarito”. Parimenti, sovente, si sente dire “prenditi cura di”, “aver in cura”…per poi passare al “trovata una cura per”.

Sembra si riferiscano allo stesso processo, no? Il miglioramento della condizione stazionaria in cui ci si trova. Apparentemente è di questo che parliamo. Medicalmente parlando, questo è. Non si scappa.

Eppure, se ragioniamo senza alcuna retorica e istinto narrativo, guarigione e cura non sono la stessa cosa. Non lo sono proprio per nulla. Che dite, come sempre, proviamo a ragionarci assieme?

Guarigione. Guarire. Guarire da qualcosa. Ha guarito. Ha fatto guarire.

A cosa si riferiscono? La guarigione è un processo automatico, per così dire. Il corpo si guarisce da solo. Evidenza biologica notabile a partire da qualsiasi testo di biologia. Guarire, implica già un livello diverso. Implica che il soggetto guarisca. Implica che il soggetto voglia guarire. Giacché la guarigione non arriva dall’esterno. Non viene creata dall’esterno ma, semmai, viene facilitata dall’esterno, indotta, direzionata, pilotata. Guarire da qualcosa. Già perché si guarisce da una brutta polmonite, da un cancro alla mammella. Da cos’altro si può guarire? Si può guarire da una delusione? Da un qualcosa che non è fisico? Certo. Si guarisce da una relazione, da una delusione, dal trauma di una morte. Si guarisce da quasi qualsiasi cosa. Il fatto, però, è questo: SI guarisce. Tu, guarisci, da te. Sono tre passaggi. TU, soggetto che decide di guarire, soggetto che vuole guarire pur non sapendo come. GUARISCI, è un processo naturale, puoi ritardarne gli effetti o puoi velocizzarli, puoi incrementarli e migliorarli o puoi peggiorarli e diminuirli altrimenti non parleremmo di “risposta” quando si tenta di aiutare qualcuno a guarire. Si, perché, e mi piacerebbe sentire il parere di qualche medico, non penso sia il medico a guarire, penso sia il medico ad indicare il cammino per la guarigione a chi vuole guarire. DA TE, perché la guarigione è un processo che parte da te, parte dal di dentro, parte dal tuo amore per la vita.

E questa è la guarigione. Discorso, forse, più semplice. O forse l’ho reso io, da esterno al campo ed alla professione medica, mi auguro però, ancora per poco, semplicistico. Chissà. Se qualcuno volesse confrontarsi su questo tema, sarà ben accettato e letto.

La cura. Cura. Curare. Avere cura. Prendere in cura. Curarsi. Curati! Prenditi cura di. Curatore. Curante, o chi è in cura.

Di certo, non avete sentito mai dire “Guarisci!”. Di certo, non avete mai sentito dire, “questo è il mio paziente in guarigione.”. “Questo è il paziente in cura.”…da che, “prendersi cura di”.

È una banalità, o almeno potrà anche sembrare tale, eppure riflettere su talune “ovvietà”, fa rendere conto di quanto, così ovvie, tutto sommato, non siano.

Del resto, curare, prendersi cura, avere in cura, si riferiscono tutte alla stessa azione, allo stesso processo. Mentre la guarigione ha a che fare con il solo soggetto che da sé, guarisce, naturalmente, la cura ha a che vedere con la capacità di una seconda persona, di entrare in relazione con qualcuno empaticamente e avere riguardi verso la sua salute, processo non esattamente naturale o almeno non così scontato. Una madre cura il proprio bambino. Curare il mondo dai suoi mali.

Basta? No, non proprio.

Una canzone di un mio coterraneo, Battiato, recita così:

“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.” […] “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te.” […] “Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te…io si, che avrò cura di te.”.

Una poesia musicata più che suggestiva. Un vero toccasana per l’animo romantico di ognuno di noi. Eppure, non solo. Già, dico non solo, perché, non si parla di guarigione medica ma di Cura. Di prendersi Cura. Di Avere in Cura un qualcuno. Che, riconosciamolo, non è esattamente la stessa cosa di guarire.

Curare implica relazione. Curare implica l’azione di due soggetti, non più di uno. E chi potrebbe curare? Cura solo il medico? E come cura il medico? Cosa fa un paziente per essere in cura? Il paziente si affida al medico. Si, lo so, sono noioso con tutta la manfrina delle parole e del significato MA badate bene, si affida! Mica si appella, si schiude, si lascia…no, è un atto di fiducia: si affida! E con la fiducia mica si scherza. Quando ci si affida, si consegna sé stessi nelle mani d’altri. Non è la fede, è la fiducia. Voi siete lì. Davanti. Noi, siamo lì. E la fiducia è respondere, responsabilità personale qui e ora. Ci si consegna, senza se e senza ma.

Curare, quindi, ha un significato molto più profondo ed emotivo che non già guarire. Curare vuol dire accogliere chi si affida a noi. E mica è una cosa semplice e da prendere sottogamba. Chi cura chi? Come cura? Sono domande non di facile risposta.

Una mamma cura il proprio figlio. Se ne prende cura. Fa attenzione a che non gli capiti nulla di spiacevole. La mamma prova amore.

Un fratello ha in cura sua sorella. Processo istintivo o naturale: protegge inconsapevolmente. Il fratello ha un attaccamento familiare alla sorella.

Un uomo ha cura di un cane. Discussione già più complicata. Come ne potrebbe avere cura? Di cosa ha bisogno un cane? In cosa, il cane, si affida? Ricordate, curare è relazione…l’avevo detto prima. Bene, quando capita di trovarmi a casa di qualche mio amico che ha un cane, cerco subito di stabilire una relazione. Non una relazione che si instaura tra due persone. Quella, a volte, è molto costruita, filtrata, non è naturale. Richiede delle rigide etichette. Se vuoi dare un abbraccio, spesso non lo fai. Non perché non puoi, quanto perché è un simbolo. Non sai come verrà codificato. Se vuoi dare un bacio, spesso non lo dai. Non perché non vuoi darlo o perché non senti di volerlo dare, quanto perché, spesso, l’uomo è artefatto nel suo stesso sentimento attuale. Un bacio non è mai solo un bacio.

Con i cani, no. Se vuoi giocare con un cane, giochi. Lui, il cane, non ha artefatti sociali pesanti. Lui, il cane, comunica con te nella maniera più diretta, quella naturale, quella che tendi ad evitare perché me hai paura. Quella che quando la riconosci la scansi perché ne vieni sondato e ne hai paura perché, spesso, ti fai trovare impreparato. Ecco perché molto hanno paura dei cani. I cani comunicano con noi. Abbaiano. Ringhiano. Ci guardano. Ci annusano. Muovo le orecchie. Cercano di farci capire qualcosa. Noi, però, poiché abbiamo perso la capacità di essere istintivi, poiché ci siamo rintanati nel comodo dell’umanità civilizzata, abbiamo dimenticato le regole di comunicazioni innate.

Lo sguardo. Il contatto. L’odorato. Ed ecco che in pochi minuti, curo il cane. E il cane cura me. L’uno capisce l’altro. L’altro capisce l’uno. Tutti e due capiscono di cosa hanno bisogno in quel momento. Non prima. Non dopo. In quel momento. E giocano. E si ritrovano. E si perdono. E abbattono i muri della comunicazione. I cani, loro, vanno oltre…e se li segui, riesci ad andare oltre anche tu.

Ecco. Abbatti i muri, colmi la distanza. La Cura cominci da questo. Avvertire la sofferenza, colmare la distanza, essere empatici e aiutare.

Giacché cura l’amico. E quanti di noi non sono stati curati da un amico? Io, continuamente! Con una canzone, con una parola, con un abbraccio. Ognuno ha un suo modo di riconoscersi, comprendermi, annullare la distanza ed entrare in contatto con me e io con loro.

Giacché cura l’amore. No, non quello scialbo e da copertina, quello patinato e sbugiardato, quello promesso e scordato, quello bazzicato e mangiucchiato come fosse uno spuntino dopo un happy hour. Di certo non Cura l’amoricchio veloce, quello sbadato, alla meno peggio perché “così è quello che posso”. Non Cura nemmeno l’amore di viaggio, quello che arriva e parte prima d’aver messo piede a terra. No. Cura l’Amore che ti abbraccia con il suo tempo. Cura l’Amore che in silenzio, un morbido silenzio, parla con il tuo cuore. Cura l’Amore che si saluta con un arrivederci che ha il gusto di un “perché ci stiamo salutando, io vorrei stare sempre lì con te. Tienimi vicino.”. Cura l’Amore di un sorriso genuino, quello non forzato e stuprato poi in una smorfia da avantspettacolo da baraccone di infima borgata solo per farsi riconoscere ancora una volta “carina”…carina certo ma non Bella.

L’arte ci cura. Perché l’arte è Bellezza. E ancora, quindi, Cura la Bellezza. Perché la Bellezza è armonia. E quel che è armonico è in salute. E non si parla di Bellezza solo fisica, perché sappiamo che la Bellezza è l’anima del mondo. E se l’armonia ha a che vedere con l’empatia e con la capacità di due spiriti di avvicinarsi l’un l’altro, di giacere seppur per un momento insieme, verso lo stesso orizzonte, nello stesso giaciglio, scaldati dallo stesso raggio di sole, toccati l’uno dalla leggerezza dell’altro, estasiati da un canto d’amore silente e tacito…beh, che dire…la cura non ha a che vedere con il corpo ma con lo spirito dell’uomo.

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