Divorzio all’inglese: Brexit e sanità britannica, cosa succederà?

Si dice sempre che, nei divorzi, a rimetterci sono i figli. L’unico caso in cui è possibile che questo non avvenga è quello in cui i genitori siano abbastanza maturi da trovare soluzioni diverse, scendere a compromessi o mantenere rapporti decenti per coloro che dovrebbero essere il frutto del loro amore. All’inizio della fine di una relazione, che magari durava da moltissimi anni, per esempio 43 tra fidanzamento e matrimonio, c’è sempre qualcuno che rinfaccia qualcosa all’altro: dimentico tutto quello che hai fatto per ricordare solo quello che non fai più. Il divorzio al quale porterà la Brexit, è un divorzio per molti basato su dati approssimativi, su sguardi appannati e unidirezionali, che guardano verso quel nuovo capitolo che sa di libertà.

Come ogni malata rompipalle che si rispetti facente parte di un esercito che conta milioni di uomini e donne, e da malata partecipante ad un registro europeo curato dalla TREAT-NMD  di “Newcastle”, non posso mica prendere e disertare senza chiedermi quali saranno gli effetti su una sanità che, dal punto di vista finanziario, in Gran Bretagna fa già acqua da tutte le parti, peggio della voragine di 200 metri a Firenze, e che rischia di condizionare anche chi in Gran Bretagna neanche vive.

La stessa Beatrice Lorenzin, in un intervista su Panorama di qualche giorno fa, ha usato un termine che da me potrebbe essere condiviso (evento memorabile!!), definendo la Brexit una “sciagura”. La ministra dice tante cose, molte delle quali diventano promesse non mantenute ancor prima che abbia finito di pronunciarle, ma in questo caso sono d’accordo con lei. Forse perché dalle sue parole non è richiesto ne derivino anche fatti, quindi ha potuto analizzare gli eventi prendendola un po’ più scialla.

Durante la battaglia tra Leave e Remain, per convincere alla Brexit, la campagna Leave ha sostenuto che si sono impegnati a reindirizzare 5,4 miliardi di sterline, che la Gran Bretagna paga ogni anno all’Unione Europea, verso il National Health Service e che la minore immigrazione avrebbe garantito una diminuzione dei costi diventati eccessivamente alti a causa delle troppe persone da curare, affermazione dichiarata poi non del tutto veritiera. Sul British Medical Journal si legge infatti che il Regno Unito spende meno di quanto riceve dall’Unione Europea, circa 8,8 miliardi di sterline per borse di ricerca. L’uscita lascia quindi un gap di 3,4 miliardi di sterline. Inoltre 130.000 cittadini provenienti dagli altri paesi europei lavorano nella sanità e assistenza sociale della Gran Bretagna e il 78% dei migranti paga le tasse necessarie per finanziare lo stesso Sistema Sanitario Nazionale che, appunto, si finanzia con fondi pubblici. Si stima che l’uscita della Gran Bretagna comporterà uno shock economico con perdite settimanali che vanno da 380 a 770 milioni di sterline fino al 2020,  i cui effetti andranno sicuramente a ricadere sul Sistema Sanitario Nazionale, come è successo fino ad adesso: quasi tre quarti degli ospedali del Paese (il 74%) non offrono garanzie ai pazienti . (Consiglio, per informazioni più dettagliate, la lettura dell’articolo di Grazia Labate su quotidianosanita.it)
Non bisogna poi dimenticare l’assistenza sanitaria transfrontaliera derivante dalla direttiva europea 2011/24 necessaria per la trasparenza, per le riforme dei sistemi sanitari, per la cooperazione reciproca e che permette ai disabili britannici (e Italiani) di potersi spostare sicuri di non incappare in molti più cavilli burocratici di quelli che non ci siano già. Questa, a meno di nuovo accordi con medesime garanzie non avrà più valore, comportando così un aumento dei costi e maggiori difficoltà per accedere alle cure. La stessa EMA, Agenzia Europea per i Medicinali, nata con lo scopo di ridurre il costo che le aziende farmaceutiche dovevano sostenere per ottenere le approvazioni dei farmaci separatamente dall’autorità di ciascuno stato membro e, per evitare che gli stati ostacolassero le approvazioni di farmaci che sarebbero stati concorrenti di quelli già presenti sul mercato interno, è situata a Londra. Ovviamente è impensabile che non si arrivi ad un trasloco, le candidature per chi aspira a diventarne la nuova sede sono aperte già da un pò. La Brexit, quindi, ha il potenziale di avere un impatto sulla regolamentazione, la condizione dell’EMA, la finanza, l’occupazione, il trasferimento dei dati personali e l’ecosistema della ricerca europea, così come afferma l’ Efpia (Associazione Europea dei produttori di farmaci) .

I divorzi, come vedete, vanno quindi ponderati bene analizzando tutti gli effetti possibili. Non si può lasciare sempre al tempo il compito di darci delle risposte.

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