Femminismo, una parola che non piace: perché?

Provate a fare un’indagine: chiedete alle persone che avete intorno cosa pensano del femminismo e se queste si considerano femministe/i. Scoprirete che la maggioranza risponderà con un’accezione negativa del femminismo, come sicuramente fareste anche voi. Molte persone reputeranno magari anacronistico parlare di femminismo ritenendo che la giusta definizione sarebbe invece quella di “uguaglianza di genere”, sempre che ammettano il fatto che ci siano ancora delle disuguaglianze nella società. Nella speranza che si riconosca l’assenza di un’effettiva parità di diritti tra individui e che in realtà l’emancipazione femminile è solo uno specchio per le allodole per giustificare una società ancora patriarcale, cercherò di spiegarvi perché è importante parlarne.

La parola “femminismo” nasce in Francia nel XIX secolo. Per molto tempo si è pensato che questa fosse stata inventata dal filosofo socialista (e favorevole all’uguaglianza tra uomini e donne) Charles Fourier, che partecipò nel moderno movimento femminista ai suoi inizi, nel 1830. In realtà questo è un errore, infatti il termine era già utilizzato in medicina per designare un disturbo dello sviluppo negli uomini, che colpiva la loro “virilità” e li faceva apparire femminili.

Il primo a usare questo termine, con riferimento alle donne che lottavano per i loro diritti, fu lo scrittore francese Alexandre Dumas figlio, che nel 1872 pubblica “L’uomo-donna”, in cui queste venivano prese in giro: “Le femministe, chiedo perdono per il neologismo, dicono: tutto il male viene dal fatto che non si voglia riconoscere che la donna sia uguale all’uomo, che devono avere la stessa istruzione e gli stessi diritti degli uomini”. Questo neologismo fece sì che la parola venisse utilizzata per definire in modo sprezzante le donne che lottavano per i loro diritti[1], dando vita ad una serie di stereotipi riguardanti il femminismo che sono attuali ancora oggi.

Molte persone si oppongono al femminismo. Secondo loro la parola non rende giustizia alla parità di genere e considerano più adatto il termine umanismo o egualitarismo. Chi dice questo però non ha ben chiaro il significato dei termini: essere “umanisti” non vuol dire essere in favore della piena uguaglianza di tutti essere umani, come essere “femministi” non vuol dire essere a favore della piena uguaglianza delle sole donne. Il movimento femminista è quello che chiede una piena uguaglianza e potere per tutte le persone, proprio per il loro essere persone.

E’ fondamentale capire che non è femminismo quello che chiede la “supremazia delle donne”. Chiunque affermi che le donne sono migliori degli uomini è sessista, non è femminista. La convinzione che femminismo voglia dire odiare gli uomini, sottometterli, sostituirsi a loro non è assolutamente giusta, anzi, semmai, è la visione maschilista del femminismo. Non c’è nessun “noi donne” o “voi uomini”, c’è una lotta comune per la parità d tutte/i. [2]Questo è importante riconoscerlo, come è importante sottolineare il fatto che l’umanismo o l’egualitarismo non hanno mai lottato per un’uguaglianza effettiva. Infatti storicamente il movimento umanista riguardava l’uguaglianza tra uomini, le donne non erano contemplate[3]

Ogni persona è invece unica e come tale, ha dei diritti a livello economico e politico che necessitano tutela. La nostra cultura ci ha educato, e purtroppo ancora ci educa, a delle abitudini e dei linguaggi storicamente basati sul sessismo e sul patriarcato. Per questo molto di quello che pensiamo, facciamo e diciamo tende al sessismo e al maschilismo, o alla discriminazione in ragione del sesso.

E’ oggettivo il fatto che l’uguaglianza delle donne non sia riconosciuta perché non è attivamente presa in considerazione a livello politico. L’accezione negativa alla parola “femminismo” è dovuta a pregiudizi che risalgono a quando le donne provarono a lottare per conquistare i primi diritti basilari, ad esempio, il diritto di voto. Queste immagini risalgono a prima degli anni ’20 e fanno parte della campagna anti-suffragio dell’epoca. Stereotipi che però sono più che attuali[4]:

Le femministe sono brutte, mascoline, arrabbiate:

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Se hanno la fortuna di sposarsi, sottomettono il marito, non vogliono l’uguaglianza con gli uomini, vogliono dominarli:

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Nell’immaginario comune il pensiero rispecchia quello del politico cristiano e tele-evangelista Pat Roberson, che nel 1992 ha definito il femminismo come “un movimento politico socialista anti-famiglia che incoraggia le donne a lasciare il marito, ad uccidere i figli, a praticare la stregoneria, a distruggere il capitalismo e a diventare lesbiche”. Non che adesso le opinioni al riguardo siano molto diverse. Fateci caso, si parla sempre e soltanto di donne femministe, mai di uomini femministi.

Come dicevo al principio, gli stereotipi riguardo al femminismo sono ben radicati nella nostra cultura e nella nostra società basata sul pensiero patriarcale. Difatti le persone che dicono di non essere femministe e che aborrano il termine sicuramente non ne hanno chiaro il vero significato e non si rendono conto che così dicendo avallano tutti i pensieri relativi ad una disuguaglianza tra uomini e donne. Dire di essere femminista ha assunto una connotazione così negativa che molte persone diranno “per carità, io femminista? Mai!” e questo è dovuto al fatto che gli stereotipi prevalgono sul significato del movimento.

Riprendendo un pensiero scritto in passato e che potrete rileggere cliccando qui, lo posso dire con sicurezza: essere femministe/i non è facile. Non in un mondo che ci educa in base agli stereotipi e alle discriminazioni. Vuol dire andare contro corrente costantemente. Vuol dire lottare perché dalle parole si passi ai fatti, perché ci sia una reale azione politica contro le discriminazioni di ogni genere.

Mi è stato rimproverato che basarsi sull’evidenziare il sessismo nel linguaggio non voglia dire attuare un cambiamento effettivo, anzi, che queste questioni sono “cavolate” in confronto a quello che deve realmente essere cambiato. Penso però che iniziando a riflettere sulle nostre espressioni diventate ormai quotidiane si possa passare anche a cambiare modi di agire. Il pensiero diventa azione. Senza una base di pensiero sul nostro quotidiano come si può sperare di cambiare le istituzioni che attuano procedure sistematicamente discriminatorie? La storia ci insegna che i movimenti, per essere effettivi nel tempo, devono partire dal basso per poter cambiare la struttura culturale.

Proprio per questo è importante iniziare un percorso di scoperta su quanto il nostro modo di pensare e quello che ci fanno credere non sia normale, ma in realtà sia basato su stereotipi di disuguaglianza di genere. Ed è una cosa che riguarda tutte/i, perché la violenza nasce proprio dal tipo di educazione che riceviamo fin da piccole/i.

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E come mai è così importante capire tutto questo? Perché ci riguarda, non si può non essere intersezionali: lottare contro le discriminazioni sulle donne non può essere slegato dalla lotta contro tutte le discriminazioni, il sessismo, il razzismo, l’omofobia, la transfobia, etc. Una volta chiaro il concetto che ogni persona è unica, con pari diritti e pari dignità, è chiaro anche che la violenza di genere comprende ogni etnia, orientamento sessuale (gay-lesbo-trans-bisessuale-queer etc.), identificazione di genere, classe, disabilità, religione e cultura, inscindibili nella lotta contro le diseguaglianze del sistema.

Le forme di oppressione patriarcale-capitalista sono moltissime e interconnesse. Una volta aperti gli occhi su quanto sessismo ci viene inculcato fin dalla nascita non si può essere cieche/i sull’educazione razzista, omofoba e ricca di stereotipi discriminanti. Persone che si dichiarano femministe ma vedono la lotta solo per la parità di diritti di donne bianche e borghesi, o che si occupano solo di alcune categorie di discriminazioni, non possono definirsi “femministe”.

Come scrive Fiorelle su Pasionaria.it[5]: “Ma ci sono alcune zone di questa intersezione che rimangono in ombra, come le prostitute e le sex worker, le cui voci sono troppo spesso usate a fini di schermaglie ideologiche fra chi ha già conquistato lo spazio per esprimersi. Ci sono voci che sono praticamente cancellate, come quelle delle donne MtF (transgender che hanno effettuato una transizione dal corpo maschile a quello femminile). E quelle delle persone disabili, che faticano a farsi sentire. Invece le loro battaglie sono anche le nostre: perché combattere contro la discriminazione, significa combattere – ad esempio – anche contro tutto ciò che impedisce a una donna o a un uomo disabile di potersi autodeterminare a suo piacimento, di avere le medesime possibilità di tutte e tutti.”

Per questo non solo abbiamo bisogno del femminismo ma di “un femminismo (..) internazionale e multiculturale, che affronti le strutture delle società per scardinare le oppressioni che muovono dallo stesso sistema economico e che si rivolgono contro gli individui canalizzandosi in sessismo, ma anche razzismo  e classismo dunque.

Nessuno di questi processi di oppressione agisce indipendentemente dagli altri, così come non vi sono processi di liberazione che possano combattere una sola di queste repressioni, senza essere in sé fallimentari”.

Capire, quindi, il vero significato di femminismo è qualcosa che riguarda tutte/i noi. Cambiare non è facile, ma una volta che il cambiamento parte da noi stesse/i ci verrà naturale “battersi” per cambiare lo stato delle cose. Ci verrà naturale smettere di guardare alcune trasmissioni in tv che ci diventeranno insopportabili, come diventeranno insostenibili alcuni discorsi sentiti nel quotidiano. Una volta messi gli “occhiali viola” difficilmente si riescono a togliere, femminismo è uguaglianza. Conoscere l’origine del termine per conoscere meglio se stesse/i e cominciare il movimento prima di tutto interno a noi, per poi poter iniziare un cambiamento esterno effettivo.

Come sempre, non manco di consigliare un testo di lettura al riguardo:

Sabrina Marchetti – Jamila M H Mascat – Vincenza Perilli, “Femminismo a parole – grovigli da districare” edito da Ediesse.

Adichie Chimamanda N., “Dovremmo essere tutti femministi”, edito da Einaudi, 2015

A cura di Maria Serena Sapegno, “Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole”, libro edito da Carocci , 2010

Hooks, “Elogio del Margine: razza, sesso e mercato culturale”, Milano, Feltrinelli, 1998

Hooks, “Feminist Theory: From Margin to Center”, Routledge, 2000

Giulia Terrosi

[1] Traduzione dell’articolo “El origen de la palabra “feminista””, ad opera della blogger Il Ricciocorno(Fonte: https://www.facebook.com/ilricciocornoschiattoso/posts/845911532135583?__mref=message_bubble, Articolo originale:  http://masoneria357.com/2014/12/15/el-origen-de-la-palabra-feminista/)

[2]“Femminismo: sicuro di sapere cosa significa?”, Fonte:http://croceviadipensieri.com/femminismo-cosa-significa-davvero/

[3]http://www.patheos.com/blogs/camelswithhammers/2014/07/why-do-we-need-feminism-shouldnt-we-just-be-humanists-and-equalists/

[4] “Where do negative stereotypes about feminists come from?” di Lisa Wa, Fonte: http://thesocietypages.org/socimages/2015/12/28/where-do-negative-stereotypes-about-feminists-come-from/de, dal blog “thesocietypages.com”

[5]Disabilità: perché noi femministe dovremmo occuparcene” di Florelle · 23 novembre 2015. Fonte: http://pasionaria.it/disabilita-perche-noi-femministe-dovremmo-occuparcene/

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