Fronte del Caucaso

“La sicurezza e la certezza negli approvvigionamenti di petrolio risiedono nella varietà e soltanto nella varietà” (Winston Churchill)

Che legame c’è tra l’approvvigionamento energetico e la politica internazionale? Una particolare area geografica può rivestire un ruolo fondamentale nel funzionamento delle più moderne e dinamiche economie globali?

Fin dagli anni ’70, il connubio tra sicurezza energetica e politica estera ha assunto un ruolo sempre maggiore nel cosiddetto decision making delle cancellerie mondiali.

La necessità di garantire continui approvvigionamenti di energia alle nascenti industrie del dopoguerra ha fatto sì che alcuni tra i più ricchi e sviluppati paesi del globo – e contemporaneamente i più poveri in termini di risorse naturali – attuassero delle politiche tese a garantirsi un continuo flusso di idrocarburi. In una società altamente industrializzata come lo è quella odierna, la dipendenza dagli idrocarburi ha raggiunto livelli esorbitanti che in alcuni casi sfiorano il 100% del totale.

In parole semplici, se uno Stato che dipende per il 100% da un fornitore esterno non dovesse più ricevere le risorse energetiche vitali per il funzionamento di ogni servizio, in poche ore tornerebbe all’età della pietra. Qualsiasi settore, dai più banali fino alle capacità di movimento delle truppe, sarebbe compromesso rendendo lo Stato esposto a qualsiasi eventuale offensiva proveniente da un altro paese.

Ed è in quest’ottica che oggi la regione del Caucaso riveste un ruolo così importante per tanti (e differenti) attori globali. La gara nell’accaparrarsi risorse a condizioni più favorevoli ha raggiunto anche un’area che fino a qualche anno fa era di esclusivo dominio dell’Unione Sovietica, oggi dissolta.

In questa particolare area del globo in cui si incrociano gli interessi – non solo energetici – di paesi dalla politica estera dinamica e spesso aggressiva, il controllo è tutto.

Non solo la superpotenza russa, storica dominatrice del Caucaso, ma anche l’Europa, con la sua frammentata politica di sicurezza energetica, e attori “nuovi” (come Iran e Turchia) sono in lotta per la leadership regionale in quello che viene chiamato Grande Medio Oriente.

12003919_10208039172846898_8219395988841337062_n

 Tra oleodotti esistenti, accordi tra le influenti compagnie energetiche dei maggiori paesi e nuovi progetti di infrastrutture colossali, i giacimenti caucasici/caspici fanno gola a governi e multinazionali petrolifere.

Di fatto, il controllo di tale regione non è vitale soltanto per motivazioni di carattere estrattivo. Nell’ottica degli approvvigionamenti energetici, il Caucaso rappresenta l’unica via “sicura” in cui far transitare il gas e il petrolio estratti anche in Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakhstan. A nord infatti, i flussi sono sotto il controllo esclusivo della Russia e messi a rischio dal conflitto in Ucraina, mentre la rotta meridionale è rischiosa a causa del pantano siro-iracheno e per la presenza del Califfato islamico.

Naturalmente, controllare – direttamente o indirettamente – il Caucaso non significa soltanto gestire parte delle rotte energetiche globali. Implica anche una penetrazione politica in un’area strategicamente rilevante.

I passati scontri diplomatici tra USA e Russia per attirare la Georgia nella rispettiva area di influenza lo dimostrano. Dalla regione caucasica infatti non si controlla solo la Russia ma si ha una capacità di intervento su un’area vastissima, che va dal Mediterraneo all’Asia Centrale, passando per il Medio Oriente, cuore degli interessi geostrategici globali.

Perfino la divisa Europa tenta di inserirsi in quest’area così ricca di possibilità per le imprese europee. L’UE mira ad accordi bilaterali con le repubbliche caucasiche in modo da garantirsi spazio di manovra per futuri accordi in ambito commerciale e politico.

Ed è proprio in quest’ottica che i tre paesi caucasici mirano ad acquisire un ruolo sempre più rilevante nell’arena politica internazionale. Non è raro infatti, che Armenia, Georgia e Azerbaigian si prestino al miglior offerente, chiedendo al contempo delle garanzie finanziarie o politiche secondo i propri interessi nazionali o economici. Gli accordi relativi al commercio e alla sicurezza mettono in secondo piano anche le vicende che vedono i tre Stati agli ultimi posti nelle graduatorie relative alla trasparenza democratica.

In realtà, la situazione delle tre repubbliche caucasiche è tutt’altro che rosea. Queste, infatti, devono affrontare una serie di problemi interni ed esterni che minacciano la stabilità regionale e in certi casi la tenuta stessa dell’istituzione nazionale.

Il potenziale delle risorse energetiche nell’area caucasica/caspica è per la maggior parte inesplorato. Tuttavia, le recenti perforazioni a scopo di analisi portate avanti dalla Socar, l’azienda di Stato azera, hanno dimostrato che la vastità dei suoi giacimenti è tale che potrebbe rifornire i mercati emergenti per i prossimi 80 anni, ponendola un gradino sotto all’area del Golfo Persico.

Secondo la Statistica annuale stilata dalla BP, le riserve di petrolio della regione rappresentano il 4,8% delle riserve mondiali, mentre le riserve di gas naturale costituiscono il 3,3%.

In termini percentuali, la produzione sembra piuttosto bassa. In realtà, la relativa stabilità geopolitica dei paesi in questione e l’altissima qualità dei prodotti estratti (specialmente il petrolio azero), rendono la regione indispensabile per una diversificazione nell’approvvigionamento mondiale.

L’idea di diversificare le rotte d’approvvigionamento – o di potenziare quelle già presenti – ha quindi reso necessario un nuovo piano strategico.

11998939_10208039172326885_9213928472364562037_n

Per questo motivo, nel 2002 l’Unione Europea decide di avviare il progetto del gasdotto Nabucco. In un’ottica prevalentemente strategica, l’obiettivo è quello di rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dei paesi europei. Il Nabucco sarebbe dovuto partire dal confine orientale della Turchia (collegandosi al noto BTC) e, snodandosi per oltre 3.200 km, raggiungere l’Austria, passando per i territori di Bulgaria, Romania e Ungheria.

Tuttavia, il progetto ha incontrato da subito una forte resistenza da parte della Russia, che mal vede un rafforzamento di rotte non proprie.

Nei primi mesi del 2013 il progetto Nabucco viene definitivamente abbandonato e sostituito dal Tap (Trans Adriatic Pipeline). Una delle principali beneficiarie di questo scenario in evoluzione appare Mosca, in quanto la realizzazione del Tap risolverà a suo favore la competizione geopolitica-energetica che vedeva contrapposti il progetto Nabucco e il gasdotto South Stream: il Cremlino potrà così consolidare i propri legami energetici con i paesi dell’Europa sudorientale esclusi dal corridoio meridionale.

Gli investimenti infrastrutturali previsti per il decennio in corso rappresenteranno dunque l’affermazione dell’area caucasica quale area fornitrice dei mercati europei, di cui incrementerà la diversificazione e la concorrenzialità.

L’Unione Europea celebra la scelta del Tap come una pietra miliare della propria politica energetica, in quanto segna l’avvio per una concreta realizzazione del Southern Energy Corridor.

In realtà questa evoluzione certifica un sonoro fallimento della strategia europea fondata sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento volta alla riduzione della dipendenza dalle importazioni di gas provenienti dalla Russia.

Proprio in ambito energetico, l’Europa dovrebbe essere il soggetto maggiormente interessato alle risorse energetiche del Caspio per accrescere la propria sicurezza energetica minimizzando così l’eccessiva dipendenza da altri paesi. Invece l’Unione è stata sostanzialmente assente e decisamente poco lungimirante nel cosiddetto “Grande Gioco” nel Caucaso meridionale.

Nulla di nuovo sotto il sole.

Comments are closed.