Il G7 di Taormina e il grande assente Putin

Può sembrare quasi una beffa che, proprio nella fase in cui la Russia si è riaffacciata sulle sponde del Mediterraneo, il G7 di Taormina l’abbia esclusa dalla partecipazione al summit. In realtà è già la quarta edizione senza Mosca, e la sua riammissione al club dei Paesi più industrializzati non sembra ancora all’ordine del giorno.

Quella di Putin però è un’assenza che si fa sentire.

Non tanto mediaticamente, visto che le cronache giornalistiche si sono tutte concentrate sulle nuove figure riunite al vertice (per Gentiloni, ma soprattutto per Trump, May e Macron, si è trattato del primo G7); quanto politicamente, dato che tra i temi trattati dal consesso dei Grandi figurano la guerra civile siriana, l’escalation di tensioni con la Corea del Nord, la cybersecurity, il terrorismo. Tutte questioni su cui Mosca ha un’importante voce in capitolo.

Proprio l’inesperienza dei nuovi leader avrebbe dato un certo peso alla diplomazia di Putin, già tesa a risaltare la Russia come partner imprescindibile delle grandi crisi che affliggono il globo. Dinnanzi all’inconsistenza della politica estera europea, e in attesa di una strategia definita della Casa Bianca, Putin nella sua attuale posizione avrebbe avuto solo da guadagnare. Forse è per questo che nessuno si è affrettato a rinvitarlo.

Tantomeno Trump, sulla cui presidenza aleggia ancora l’ombra dei rapporti con Mosca: lungi dal superare la tempesta del Russiagate[1], the Donald comincia a temere la catastrofica ipotesi dell’impeachment. Nonostante proprio questo suo primo viaggio in Europa abbia registrato un relativo – e insperato – successo della sua presidenza.

A poco invece valgono le generiche promesse italiane[2] di sostegno per un ritorno di Mosca al G8,  se non supportate da iniziative politiche abbastanza forti da superare almeno i veti tedeschi e canadesi. Tentativi, quelli di Gentiloni, volti più a mostrare un interesse cooperativo verso la Russia che a forzare uno schema ormai dato per acquisito. E a cui Mosca, forse non solo retoricamente, sostiene di non voler più appartenere[3].

Il G7 infatti, già ingolfato dalla moltitudine dei temi sul tavolo e minato dalla scarsa affinità tra i suoi protagonisti, appare sempre più come uno strumento poco utile per risolvere la complessità globale. Un offuscamento d’immagine a cui poco ha potuto sopperire la splendida cornice di Taormina, a dispetto degli auspici di Gentiloni. Ma una percezione diffusa che può essere cavalcata da Putin, già attivo da anni nell’operazione di rafforzamento di tavoli diplomatici alternativi, dal G20 ai Brics, dalla SCO ai recenti accordi di Astana.

Taormina è stata in questi giorni il baricentro del mondo: nessuno, almeno a livello simbolico, le ha tolto lo scettro. Ma il mondo che rappresenta è sempre più periferico e chiuso in se stesso, nonostante lo spazio concesso ad alcuni attori emergenti[4].

Non è detto che una riapertura a Est, per quanto urgente, sia sufficiente a compensare gli squilibri.

[1] Jared Kushner Under Scrutiny in Russia Probe, Officials Say

[2] Gentiloni da Putin: ‘Al G7 terremo conto opinioni Russia’

[3] Kremlin Unaware of Reported Intentions of Italian Gov’t to Invite Putin to G7

[4] La Germania “cattiva” di Trump

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