Il diritto di omologarsi

Mentre a casa si piange la morte di Derek Shepherd nella seria televisiva Grey’s Anatomy (spoiler?), fuori si sente il puzzo della limitata sopportazione.

Siamo tutti rispettosi del nostro credo quando non vogliamo ammettere l’esistenza di un goccio di omofobia anche in noi, tutti poveri disoccupati quando scegliamo di dare la colpa della nostra inettitudine ad immigrati che tutto vorrebbero tranne che pulire i vetri delle nostre auto. Siamo artisti dell’ovvio e delle scuse pronte quando si tratta di giustificare l’incapacità di superare il nostro ego, pronti alla lotta a favore dei più deboli quando sentiamo il bisogno di dire a noi stessi “molto brava, molto bravo, molto bene”.

E’ di pochi giorni fa la rimozione di una pagina facebook  i cui creatori credo abbiano un genio che oscilla tra il ridicolo e il vomitevole. Il suo nome era “Fate ripulire ai disabili i marciapiedi dopo il gay pride”,  non saremo mica di fronte ad un tipico caso di “discriminazione inclusiva”? Lo ammetto, leggendo il nome ho riso per cinque minuti abbondanti, non sono una di quei disabili che si offendono. Al massimo posso preoccuparmi per le conseguenze.

Per esempio: posso preoccuparmi per chi deve ogni giorno sopportare la spavalderia dei compagni di classe solo perché disabile o omosessuale. Posso preoccuparmi delle violenze fisiche e psicologiche che saranno costretti a subire e che li faranno sentire un errore,  portandoli a sviluppare  in tal modo disturbi post-traumatici come ansia, depressione e tendenze suicide.

Perché vedete, in realtà, siamo talmente simili tra noi, da avere tutti bisogno di sentirci accettati e se gli altri non lo fanno, da soli non bastiamo, per questo di solito chi può, sceglie di omologarsi. Ma se non si può, si tenderà all’auto-ghettizzazione. Così se vivo in un mondo che mi esclude perché sono qualcosa che non ho avuto e non ho possibilità di scegliere, allora per una volta deciderò di scegliere e allontanerò il mondo.

pagliaccioSe fossimo in un paese perfetto si farebbe la cosa giusta, si educherebbe o si aiuterebbero le moltissime associazioni, ad educare all’uguaglianza, in modo da allontanare il rischio che la non-uguaglianza continui ad essere considerata, per chi ne è portatore, una spada di Damocle, e per chi ne è circondato un male da estirpare.

Il motivo per cui questo sia diventato così difficile nel 2015 non l’ho ancora capito. Eppure la Costituzione è molto chiara, compito assegnato alla repubblica è ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Così, chi è stato investito del ruolo di “Educatore sociale”, se ha avuto la pazienza di leggerla almeno una volta dovrebbe essere in grado di educare ad educare ad un’uguaglianza non semplicemente formale ma anche sostanziale.

Che sia chiaro,  la sostanzialità di cui parlo non deve assolutamente essere concepita come un vantaggio, questa sarebbe una soluzione logica per menti intolleranti, ma piuttosto come la possibilità di avvicinarsi alla parità, e affinché questo sia possibile è necessario trattare ed affrontare razionalmente e giustificatamente situazioni tra loro uguali in modo uguale , e situazioni tra loro differenti in modo diverso.

Se infatti io ho qualcosa che mi rende, in teoria, altro rispetto alla maggioranza, e se la mia diversità mi pone su un gradino inferiore rispetto a quella stessa maggioranza, io ho tutto il diritto di avere qualsiasi cosa possa permettermi di diventare, sostanzialmente, uguale.

Non deve essere possibile praticare alcuna azione in grado di limitare il nostro volerci sentire omologati, intendendo con questo non l’assenza di autenticità, bensì il riconoscimento di una completa validità capace di renderci, nonostante le più profonde e strane differenze, “corrispondenti” all’altro.

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