Il Sindacato è morto, lunga vita al Sindacato!

Articolo originale: http://thebottomup.it/2015/12/10/economia-sindacato-mercato-lavoro-societa/

Siamo ormai arrivati al settimo anno di questa crisi economica e la risonanza di alcuni interrogativi, finora considerati come risibili, inizia a crescere tra gli addetti ai lavori, e uno su tutti: siamo sicuri che questa crisi sia passeggera? Che si possa tornare alle condizioni precedenti al 2008?

Ovviamente è difficile fornire una risposta precisa senza avere un’adeguata sfera di cristallo ma alcuni dati sono preoccupanti e in particolare quelli riguardanti l’occupazione destano i maggiori allarmi: i livelli di disoccupazione attorno al 10% evidenziati oggi dai dati della Commissione europea, trasversali a molti paesi dell’Unione, paiono ormai come consolidati e una costante crescita tendenziale si riscontra da almeno 15 anni.

camusso monti sindacato
I tesissimi rapporti tra sindacato e governo

Questa situazione del mercato del lavoro, già di per se critica, risulta ancora più drammatica per i giovani: la disoccupazione under 35 in Italia ha raggiunto livelli attorno al 40%, senza contare i NEET (Not in Education, Employment and Training) che sono ai livelli più alti di tutti i paesi sviluppati (fonte OCSE).

Ma, al di là dei freddi numeri, ci sono altre questioni cruciali riguardanti l’impiego dei nati dopo il 1980 e riguardanti aspetti più qualitativi. Ad esempio il buon Tito Boeri, presidente dell’INPS, nella scorsa settimana ha rilasciato una dichiarazione piuttosto allarmante: “Per 35enni rischio pensioni povere e lavoro fino a 75 anni”.
Affermazione subito considerata come più che plausibile dal ministro Poletti dalle pagine de La Repubblica.

Tuttavia il lato più incredibile di questa dichiarazione è il relativo silenzio nella quale è passata: non una parola da parte associazioni, sindacati o qualsiasi altro gruppo, non una presa di posizione forte.

Un po’ di sdegno su internet, un paio di commenti (con relativi Like) e via, finita così.
Questo è a mio parere piuttosto emblematico dell’attenzione e dell’interesse dei giovani rispetto la loro condizione o, piuttosto, della loro fiducia verso il futuro.

Un provocatorio articolo di Christian Raimo su Internazionale delinea un quadro decisamente disarmante del mondo della cultura, con stipendi bassi (se non nulli) e contratti umilianti. Questo pezzo si chiude con una sorta di attacco verso gli stessi operatori del mondo creativo: ” …tutta questa gente non pensa mai – mai, mai – a sindacalizzarsi, a mandare a fanculo chi si occupa di politica culturale nelle decine, centinaia di conferenze stampa, dibattiti, convegni in cui si presentano i festival, i programmi culturali, il nuovo splendido mondo creativo che verrà.”

Per quanto d’accordo con questa affermazione, ritengo che il problema non sia esclusivamente circoscritto a quest’ambiente ma trasversale a tutta l’economia Italiana: il potere contrattuale del lavoratore, soprattutto se giovane, in qualsiasi settore, sta radicalmente declinando e non pare ci siano soggetti in grado di opporsi a questa tendenza.

Probabilmente l’enorme ondata di anti-politica (intesa come rifiuto delle istituzioni consolidate) che ha investito la nazione negli ultimi anni ha travolto anche i sindacati e non solo i partiti. Se la rabbia dei giovani in altri paesi come Spagna e Grecia è stata convogliata in progetti strutturati e politicamente schierati (Podemos e Syriza), in Italia questa tensione è stata interamente e legittimamente assorbita da il Movimento 5 Stelle che tuttavia non offre una base di consenso omogenea, con obiettivi comuni.
Questo distaccamento dalla Politica viene traslato dalla disaffezione dei partiti fino ad una prospettiva più ampia, comprendendo anche i sindacati.

Pietro Ichino, famoso e famigerato giuslavorista, ha rilasciato nel marzo del 2015 un’intervista in cui analizza il declino nella partecipazione sindacale “non solo in Italia ma in tutto l’occidente industrializzato” ma la motivazione da lui suggerita (la maggiore integrazione Europea) non è pienamente convincente in quanto lo stesso fenomeno si registra appunto anche negli Stati Uniti, come evidenziato da Forbes in un articolo dove si spiega come questo sia un effettivo problema per l’economia.

Infatti non ci riferisce solo a questioni di occupazione ma anche a problemi di effettiva distribuzione della ricchezza tra industriali e lavoratori: Piero Sraffa, professore italiano di Cambridge molto spesso dimenticato, definiva la questione della divisione del Prodotto Interno Netto, ovvero il surprlus economico prodotto da un’economia, come un delicato equilibrio derivante dalla contrattazione delle parti sociali. Contrattazione politica appunto.

Senza volere dare una risposta definitiva a livello globale e concentrandoci sulla situazione italiana, sempre unica, si possono trovare altre risposte per giustificare la scarsa coesione sociale all’interno delle classi lavoratrici. Prima di tutto si ha da analizzare un effettivo cambio di posizionamento politico avvenuto nei paesi occidentali dal 1989 ad oggi dove, a seguito della caduta del Muro, la sinistra ha sperimentato un progressivo accentramento, da Clinton a Renzi e dove quindi certi temi sono semplicemente usciti dalla contesa politica, come fattori non più in discussione (la flessibilità, ad esempio). Allo stesso modo anche la sinistra più ‘radicale’ non è esente da colpe, non essendo riuscita a rielaborare le proprie proposte in una dialettica contemporanea e adattata ad un mondo oramai totalmente globalizzato e capitalista.

E il sindacato? Purtroppo i sindacati in Italia ormai hanno raggiunto (con forse l’eccezione della FIOM) la sembianza di organismi fini a se stessi, con meccanismi di selezione dei quadri dirigenti completamenti estranei al reale mondo lavorativo. Senza spendere tempo a parlare di CISL e UIL, la stessa leader della CGIL, Susanna Camusso, non ha mai avuto un’occupazione al di fuori della carriera sindacale e la medesima situazione è ricorrente in molti dei quadri di questa, con tutti i dirigenti con una carriera affine (rappresentanza universitaria, segreteria locale etc etc.).

Parrebbe quindi abbastanza difficile una grossa spinta emotiva dei lavoratori verso queste istituzioni cosi come potrebbe essere abbastanza improbabile un elevato commitment di questi nel difendere determinati diritti.Inoltre un ulteriore problema è dato dalla totale assenza di effettive rappresentanze dei disoccupati e degli esterni al mondo del lavoro, storicamente sotto-rappresentati, ma che ad oggi, tra i giovani italiani, sono la maggioranza assoluta: questo vuoto non è stato riempito né dai sindacati ormai istituzionalizzati né da nuovi soggetti.

Urge quindi una nuova coesione sociale in quanto in italia, ad oggi, ci si trova davanti all’assenza di uno dei principali attori dell’economia e questa situazione potrebbe rendere impossibile il raggiungimento del delicato equilibrio sociale con ovvie, pesantissime, ripercussioni sulla qualità della vita e lo sviluppo del paese.

Andrea Armani

The Bottom Up

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