Immaginate un’estate

Immaginate di essere in Sicilia e di lasciarvi guidare dai vostri sensi.
Immaginate di immergere lentamente il vostro corpo, fino al bacino, dentro il caldo mare delle nostre coste.
Immaginate di trovarvi nell’entroterra, in piena campagna, sotto l’ombra di un benevolo ulivo che vi risparmia dal caldo, guardandovi attorno lo spazio a vostra disposizione sembrerà infinito.
Immaginate di far sprofondare le vostre mani tra la ricotta calda appena cucinata, quella che riempirà i cannoli di tutte le pasticcerie che troverete lungo la strada.
Immaginate l’odore forte e pungente di un’arancia che lentamente state sbucciando, un odore che a lungo vi resterà attaccato alle narici.
Immaginate di addentrarvi tra i rovi per raccogliere le more ed i gelsi, le mani che si colorano di rosso ed il contatto improvviso con qualcosa di più duro: le spine che stanno lì per difenderle dai passanti.
Immaginate di finire la giornata in riva al mare, odore di salsedine e fresco vento estivo.

Adesso basta, cambiate prospettiva, provate a sentirvi come uno dei Vigili del Fuoco impegnato nell’operazione “Augusta 2016”, per intenderci il recuperare dei resti delle settecento vittime stivate all’interno del peschereccio che oltre un anno addietro, il 18 aprile 2015, è affondato lungo le coste del Mediterraneo e lì a lungo dimenticato.

Immaginate di immergere lentamente il vostro corpo, coperti solamente da una tuta NBCR (quella che protegge dagli agenti chimici), in quella che ormai è una poltiglia di resti umani.
Immaginate una stiva al chiuso che poteva contenere un massimo di 40 persone e che invece ha al suo interno centinai di corpi, lo spazio a vostra disposizione non sarà nemmeno di centimetri, ci sguazzerete letteralmente dentro.
Immaginate di far sprofondare le vostre mani su ciò che resta, un anno e mezzo di decomposizione in fondo al mare e lo shock termico dell’estrazione, la consistenza sarà proprio quella della ricotta che immaginavate prima.
Immaginate l’odore forte e pungente di una fossa comune, reso ancora più acre dall’acqua salata che ha “macerato” i corpi per tutti questi mesi e provate ad aggiungere alla vostra immaginazione pure il vomito che verosimilmente avrete versato all’interno della vostra mascherina protettiva.
Immaginate di inoltrarvi dentro questa vera e propria “piscina di corpi”, i vostri guanti a stento coprono le mani che si colorano di rosso ed il contatto improvviso con qualcosa di più duro: le migliaia di ossa, l’unica cosa rimasta inalterata dal tempo.
Immaginate di finire la giornata in riva al mare, su quel maledetto molo insieme ai vostri colleghi, senza che nessuno abbia previsto nemmeno un sostegno psicologico per questo indefinibile lavoro.

Immaginate di restare umani se ci riuscite, io ho smesso.

Comments are closed.