Insight: la pratica di vedere chiaramente

Capita oggigiorno di confrontarci con lingue distanti dalla nostra. Distanti etimologicamente ma non così distanti. Dopo tutto, tutte le lingue hanno la stessa lingua comune. E tutto nascono dall’uomo.

Stamattina, mi trovavo a leggere un documento che per molti anni è stato considerato come il parto di una mente disturbata: Theodore John Kaczynski, bambino prodigio, PhD, professore assistente di matematica all’università di Berkeley a 25 anni. Tutti però ricordano unabomber. Ed è un peccato. Perché quel ragazzo, quell’uomo era molto di più di quello che tutti ricordano.

Perché nel suo Industrial Society and Its Future, si spinge molto al di là di quello che definiremmo il suo tempo. Cioè indaga non solo quel che è intellegibile. Intendo che non esercita solo la capacità di intelligere, cioè di “leggere tra le righe”, ma di andare ben oltre quel che nelle righe è scritto, anticipando la traccia su cui la penna si poggerà perché si scriverà. E non aveva visto male, anzi. Risulta inquietante come, un ventennio prima, avesse colto in pieno la direzione della sua america, della sua societas, che, ben inteso, è pure la nostra.

Ma no, non parlerò di questo. Parlerò di una mia incapacità. L’incapacità di rendere in italiano la parola insight.12309909_10208171033296059_392261168357483458_o

Affidandomi ad un dizionario, mi viene proposto “comprensione, penetrazione, idealizzare” ma il significato è più profondo e più maestoso. Perché quando si dice insight ci si riferisce ad una particolare attitudine della mente. Continuo a cercare e mi viene indicato “intuizione”, ci siamo.

Intuizióne, lat. Intuitio, Conoscenza diretta e immediata di una verità, che si manifesta allo spirito senza bisogno di ricorrere al ragionamento, considerata talora come forma privilegiata di conoscenza che consente, superando gli schemi dell’intelletto, una più vera e profonda comprensione dell’oggetto

Con accezione più generica, pronta e acuta percezione di una realtà: ebbe sùbito l’i. di ciò che stava succedendo; anche come presentimento di fatti futuri o imminenti: l’i. del pericolo che ci minacciava ci salvò dalla catastrofe. La capacità stessa di intuire, soprattutto come disposizione abituale: avere, non avere i.; essere dotato di grande i., di una pronta intuizione.

Treccani mi aiuta ma qualcosa non mi convince, quindi così come si dovrebbe fare quando c’è qualcosa che non convince, vado direttamente alla fonte.

Collins dictionary. E così scopro che una differenza c’è eccome.

Intuition è “unexplained feelings that something is true even when you have no evidence or proof of it”, quindi non un processo casuale, non dettato dalla conoscenza, da un esercizio di cui l’uomo conosce ma di cui sente l’effetto, appunto l’intuizione. Unexplained.

Insight è “the ability to perceive clearly or deeply; penetration; a penetrating understanding, as of a complex situation or problem”. L’abilità, il processo. Ability.

Ecco così che la differenza tra intuizione e insight è abissale. Una è l’eventuale ed evanescente casualità che incidenta l’uomo nel suo normale incedere a tentoni. L’altra, è il prodotto razionale di una mente particolarmente brillante che esercita e combina le funzioni di modellizzazione, prospezione e proiezione. Non un caso quindi, ma un esercizio. Attivo. Cosciente. Forte. Il prodotto, potremmo dire, di una capacità di vedere chiaramente perché si conosce dall’interno qualcosa. Quindi l’insight dice molto. Non è l’intuizione di chi vedendo, percepisce e intuisce, perché l’intuizione potrebbe anche essere sbagliata.

L’intuizione risponde a: vedo dall’esterno e penso l’interno sia così, quindi esterno ed interno potrebbero essere collegate da questa cosa. Oppure no.

L’insight risponde a: vedo dall’esterno, ma vedo anche dall’interno e conosco, e ho fatto di tutto per conoscere, sia l’esterno che l’interno, per cui so che sono collegate da un ponte che non vedo ma so esserci e posso dimostrare essere così.

Ecco quindi che nella nostra societas, intuizione e insight, svolgono un ruolo chiave nella gestione dei ruoli. Pensate alla classe politica. Direste che hanno intuzione o insight? O pensate anche a qualcosa di molto più vicino. Pensate alla ricerca scientifica. Si tratta di intuizione o insight? O pensate ancora a qualcosa di molto, enormemente più vicino. Le persone. Io intuisco che la persona sia così. Oppure ho avuto un insight su quella persona. L’intuizione non è studio, è innata. L’insight è studio, dedizione, morbosa attenzione. Avete bene in mente la grandezza dell’insight? Di quanto possa essere utile nel nostro vissuto quotidiano? Di quanto l’insight costituisca il prodotto di un’intelligenza che non si contenta solo di intelligere ma che si sforza di superare sé stessa, andando oltre quel che è già scritto? Prevedere. Anticipare. Ma occorre sempre il discernimento di ricordarsi che non si tratta di un “andrà sicuramente così”, dobbiamo sempre essere a “geometria variabile”. Insight come se le condizioni rimangono tali, questo è quello che verosimilmente accadrà. Ma le condizioni non rimangono mai tali.

Chi avrà visto Lie to me, telefilm molto interessante sulla fisiognomica e la psicologia applicata (https://en.wikipedia.org/wiki/Lie_to_Me), sicuramente ricorderà di cosa parlo. Lightman aveva insight, perché aveva studiato, la sua collega, aveva intuizione, non sapeva perché ma capiva. E la completezza di chi riesce ad avere intuizione e insight regala una grande potenza.

Perché? Perché l’intuizione è l’imbeccata che hai o no. Ma l’insight è la saggezza, che viene dall’esperienza e dalla pratica con quel determinato qualcosa. L’insight corregge l’intuizione e la conferma o la rigetta.

Immaginate un terapeuta con intuizione e insight. Immaginate un politico con intuizione e insight. Immaginate uno scrittore con intuizione e insight.

Immaginiamo e alleniamo il nostro insight.

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