La Volkswagen rende l’Europa più unita

Il re è nudo.
E’ questo il primo pensiero che è balenato nella mente di molte, moltissime persone, subito dopo la pubblicazione del dossier che ha visto la Volkswagen accusata di aver falsificato i dati sulle emissioni delle auto vendute negli Stati Uniti.

Lo scandalo, venuto alla luce dopo alcuni controlli dell’Epa (Environmental Protection Agency) ha dimostrato infatti, che la casa tedesca ha progettato e installato un software su tutte le vetture usate nei test “anti-smog” al fine di alterare i dati relativi alle emissioni inquinanti riducendoli virtualmente di oltre 40 volte. L’ente americano ha quindi vietato la vendita dei modelli VW in tutto il territorio statunitense e avviato un’indagine ufficiale. Alcuni settori, specializzati nel settore auto motive, ipotizzano una multa di oltre 18 miliardi di dollari, quasi il doppio del valore dell’intero gruppo automobilistico tedesco.

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Da Wolfsburg, città sede di Volkswagen hanno pubblicamente ammesso che sì, il software incriminato esiste e che i test falsati riguardano la bellezza di 11 milioni di auto vendute nel mondo. Tuttavia, i vertici teutonici hanno negato che tale software sia stato usato recentemente anche in Europa (dove tra l’altro, i vincoli sulle emissioni sono sensibilmente più blandi che oltreoceano).
Inevitabilmente però le rassicurazioni di Winterkorn, AD del gruppo, non hanno sortito gli effetti sperati. Nell’arco di qualche ora, le azioni Vag sono praticamente crollate arrivando a perdere il 40% del valore in poco più di 24 ore, mentre Corea del Sud, Australia e Giappone hanno annunciato di voler fare luce sul caso. Soltanto le successive dimissioni del Ceo hanno rallentato il ribasso delle azioni.

Anche in Europa, la Land of Quattro (per citare un famoso spot), non sono mancate le prese di posizione da parte dei governi. Il ministro delle finanze francese Sapin ha chiesto che Bruxelles avvii un’indagine su tutte le case automobilistiche del vecchio Continente, comprese quelle francesi. Perfino l’Italia, per bocca del ministro dell’Ambiente Galletti, ha ipotizzato il blocco delle vendite per il gruppo VW qualora venisse confermata la presenza del software anche tra i modelli testati in Europa. Una vera e propria tegola per il secondo gruppo automobilistico della terra che, proprio per il 2015, puntava a conquistare la leadership globale, strappandola alla nipponica Toyota.
Al di là delle conseguenze penali e amministrative (sono già 6.5 i miliardi di euro “accantonati” per far fronte alle imminenti multe o class action provenienti da ogni parte del mondo) per il gruppo Vag, che riunisce tra l’altro  Audi, Skoda, Lamborghini, Ducati e Bentley, il danno d’immagine che scaturirà da questo terremoto sarà devastante.
E non solo per Volkswagen.
12033165_10208073074414416_2676686287148595919_nA tremare è anche la Germania, locomotiva d’Europa. Se per VW il rischio è un fallimento – che è bene ricordare, lascerebbe a casa milioni di cittadini europei – per il governo federale tedesco è in gioco la credibilità internazionale acquisita in anni e anni di duro lavoro, diplomatico e non.
La cancelliera Merkel, visibilmente imbarazzata e disorientata, ha chiesto la massima trasparenza nel chiarire l’intera vicenda e ha ribadito la totale estraneità del governo. Il gruppo dei Verdi tedesco però, ha comunicato di aver depositato (il 28 luglio) un’interrogazione parlamentare al Bundestag, relativa proprio ai test d’omologazione e misurazione delle emissioni. Secondo il gruppo ecologista quindi, il governo di Angela Merkel era pienamente cosciente della condotta di Volkswagen.
Sia chiaro, non vi è nulla da gioire in questa crisi. Per l’Europa, in piena crisi economica, una notizia del genere rappresenta un fulmine a ciel sereno. Milioni di famiglie impiegate (direttamente o no) nel gruppo automobilistico tedesco vivono ore frenetiche. Lo sciacallaggio mediatico di alcuni gruppi, quasi felici che questa volta sia “toccato” alla Germania, sono al limite tra l’insulso e lo spregevole.

Allora perché la frase iniziale “il Re è nudo”?

Semplice. Se c’è una cosa che questa vicenda ha dimostrato al mondo, ma in primis ai tedeschi è che tutto il mondo è paese. Nessuno è perfetto né tantomeno qualcuno è superiore a qualcun altro. Curiosamente, in Italia le frasi più comuni non hanno espresso il disprezzo per un’azione chiaramente illegale, oltre che immorale.

Esprimevano stupore. Incredulità. Come se il primato degli scandali fosse unicamente italiano. Come se i furbetti vivessero unicamente in terra italica, mentre al di là delle Alpi, ci fosse un grande e sterminato prato verde, popolato da civiltà e rispetto delle regole. Autocommiserazione? Probabile. In Italia si preferisce ignorare una notizia relativa alle (tante) eccellenze per dar voce invece a scandali, inchieste e accuse.
Per carità, nessuno sostiene che divulgare notizie relative al malaffare sia un danno d’immagine per il Belpaese. Sarebbe come evitare di parlare del fenomeno mafia per incrementare il turismo nel Meridione.

Per troppo tempo in Europa, ci si è illusi che il modello da imitare fosse quello tedesco. Dall’economia ai sindacati, dall’assetto istituzionale fino all’organizzazione di eventi.  Il ritorno alla realtà è stato un duro colpo, in primis per i cittadini tedeschi, (auto)abituati-si ad una gestione pressoché impeccabile di ogni cosa. La presunta superiorità di alcuni paesi nei confronti di altri è venuta giù come un castello di carte. Da oggi l’Europa è più unita, seppur nelle vicende di malaffare. E chissà se “questa crisi nella crisi” non aumenti il senso di solidarietà e vicinanza tra i cittadini europei.

Una cosa è certa: non c’è nulla da festeggiare. Il risveglio è stato traumatico, per tutti.

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