Libia: armiamoci e partite

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Ci risiamo. Dopo mesi di trattative diplomatiche, firme “storiche” e governi di unità nazionale mai nati, per la Libia ritorna lo spettro dell’intervento militare italiano.

Negli ultimi giorni ne parlano tutti, ma proprio tutti. Non solo quotidiani e telegiornali ma anche il “duttile” talk show di Barbara D’Urso, proiettato per una volta a questioni della vita reale. Ciliegina sulla torta, perfino l’ambasciatore statunitense a Roma, Phillips, ha dichiarato con solenne nonchalance che l’Italia avrebbe inviato in Libia ben 5.000 uomini, per rimettere insieme i cocci del disastrato paese, suscitando le piccate risposte del nostro governo.

Apriti cielo. In men che non si dica tutta Italia ha saputo che il nostro paese stava per avviare una complessa operazione militare su larga scala. Qualche ora dopo però, lo stesso premier Renzi ha smentito (sempre dagli studi della poliedrica Barbara D’Urso, “tradendo” il granitico Bruno Vespa) che una simile operazione fosse in discussione.

Il governo italiano però, non ha nascosto l’irritazione per l’infelice uscita dell’ambasciatore. In realtà, se è vero che gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni su Roma per spronarla ad agire in Nord Africa, è altrettanto vero che la stampa italiana ha ampiamente alimentato le voci di raid, invasioni, mobilitazioni e chissà cos’altro. Quasi un D-Day in salsa italica.

In sostanza, prima i nostri giornali pubblicano “dossier segretissimi” sui piani delle nostre Forze Armate per la Libia (non così segreti evidentemente) e poi criticano l’ambasciatore americano, accusato di lanciare diktat al nostro paese. Un comportamento che potremmo definire un tantino schizofrenico.

Per una volta, permettetemelo visto che lo faccio raramente, bisogna lodare la lungimiranza e la razionalità del nostro governo di fronte ad un tema tanto delicato. Il presidente del consiglio Renzi ha detto che non si parla di videogame. La Libia è lì, in una situazione tragica e potenzialmente esplosiva, ma bombardare a casaccio potrebbe perfino peggiorare le cose.

Dopo il no italiano ai bombardamenti contro la Siria e lo stop ad azioni unilaterali in Libia, la stampa internazionale si è scatenata contro il nostro paese tirando fuori i vecchi stereotipi dell’italiano pavido, timoroso nell’usare la forza.

Sapete che c’è? Forse hanno ragione.

Si, perché l’Italia, nonostante le battutine sarcastiche circa la nostra politica estera balbettante, ha sempre guardato con speranza e preoccupazione agli eventi del Mediterraneo. Perché siamo sempre i primi a subire gli effetti di azioni avventate. Perché i frutti di un’azione scellerata in Iraq nel 2003 o in Libia nel 2011 non hanno stravolto i confini meridionali degli Stati Uniti o del Regno Unito. E non è la Royal Navy a dover pattugliare 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, in estate e in inverno, con il bello e il cattivo tempo, l’intero Mediterraneo per impedire che migliaia di persone perdano la vita in mare, soltanto per sfuggire alle azioni coraggiose dell’Us Air Force o dell’Armee de l’Air.

Per queste azioni da mammolette c’è la Marina Italiana. La Guardia Costiera italiana. Recuperare bambini annegati non è macho. Non è abbastanza hollywodiano.

E sono sempre i pavidi italiani che per anni hanno urlato alle istituzioni europee che la crisi migratoria si sarebbe allargata e aggravata. E quando l’allora ministro degli esteri Emma Bonino disse “NO” ad un’azione militare contro la Siria di Assad, dagli alleati sono piovute critiche infuocate.

La solita Italietta, timorosa di offendere gli arabi.

I nostri alleati quindi, dalla Francia all’Olanda, tutti coraggiosi e impavidi, hanno risolto inviando cacciabombardieri in Siria. Stroncata l’Isis dicevano (dall’alto, senza sporcarsi le mani) il flusso migratorio si sarebbe arrestato come per magia.

Anche in questo caso, il nostro paese, codardo e senza spina dorsale, si è opposto, pensate un po’, a bombardare un paese senza autorizzazione internazionale! Una cosa inammissibile, inaccettabile. Avremmo dovuto prendere esempio dall’Iraq, che grazie al miracoloso intervento americano del 2003 è oggi un paese democratico, pacificato e ricco. Un paradiso terrestre. Veramente qualcuno crede che per stabilizzare un paese, una regione, una porzione di questo maledetto globo, basti la mera forza militare?

Sia chiaro, non sto sposando la causa del “pacifismo a tutti i costi”, che ritengo altrettanto stupida e fuori dalla realtà.

Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Perché se è vero che ci sono situazioni in cui la forza militare è necessaria, è altrettanto vero che da sola risolve ben poco.

Senza la diplomazia e il dialogo non si va da nessuna parte. Perché la diversità culturale non è limitata al colore della pelle o alla religione ma è estesa all’accettazione dell’idea che l’altro possa pensarla in modo totalmente diverso da noi.

Chissà quindi che il nostro paese, per una volta, non sia uno dei più coraggiosi. Perché se è vero che le scelte del governo italiano sono dettate anche (e soprattutto) da interessi economici-strategici, traspare la tradizione della politica estera italiana; non da “banderuola”, come scrivono gli stessi giornalai italiani bensì come un equilibrio necessario.

L’Italia è geograficamente, culturalmente e politicamente il ponte tra due mondi: quello occidentale e quello orientale. Per necessità quindi, il nostro paese ha dovuto barcamenarsi (spesso cadendo) in giochi di balance&balance. Dall’Achille Lauro, fino all’Iran. E sì, i nostri alleati hanno sempre malvisto questa peculiarità italiana, bollandola come debole o smidollata.

Probabilmente si arriverà comunque ad un’operazione militare in Libia. La speranza è che alla guida di questa coalizione non vi sia un paese di coraggiosi.

Jacopo Vasta

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