Perché il referendum greco ha senso

Di errori la Grecia ne ha fatti, sia in passato che nelle ultime trattative. Ma chiedere ai suoi cittadini di esprimersi sul proprio destino, dopo avergli chiesto per anni dei sacrifici, non appare così fuori luogo. Dal canto suo l’Europa deve riflettere sul proprio futuro, partendo dal proprio passato.

Sono ore febbrili per il futuro dell’Europa. L’accordo sul salvataggio della Grecia è appeso a un filo, anzi a un referendum. Il premier Tsipras ha infatti deciso di demandare ai cittadini greci la scelta di firmare l’ultima bozza d’accordo con i creditori.

Il fatto stesso che questa notizia sia stata accolta con stupore e diffidenza, la dice lunga sulla considerazione che si ha in certi ambienti della cosiddetta “sovranità popolare”.

Tutti, in Grecia e fuori, hanno paura delle possibili conseguenze dell’uscita di Atene dall’euro. Ma in fin dei conti è giusto che a prendere questa eventuale decisione debba essere il popolo ellenico (del resto l’atteggiamento dei creditori, che non sembra rivolto alla ricerca di un compromesso a tutti i costi, sembra dare il via libera alla possibilità della “Grexit”). Oltre ad assumersi la responsabilità della scelta, infatti, saranno gli stessi greci a subirne le maggiori conseguenze.

Si è già sollevata qualche obiezione “elitista”. Un popolo non dovrebbe poter esprimersi su questioni difficili scavalcando le prerogative e le competenze dei propri delegati eletti in parlamento. L’obiezione avrebbe un senso se la decisione in questione investisse materie per le quali siano richieste conoscenze macroeconomiche complesse. Ma in questo caso la questione su cui gli elettori greci dovranno esprimersi è abbastanza semplice, e contenuta esplicitamente nei termini di un accordo (relativo a pensioni, Iva e tasse) già sul tavolo. I cittadini greci dovranno insomma scegliere in modo abbastanza diretto se autoimporsi certe specifiche limitazioni, per continuare a permanere nell’eurozona, oppure rifiutarle (si spera solo che siano ben informati). Qualunque esito avrà il referendum, potrebbe avere effetti devastanti sull’economia e sulla società greca. E tutti sembrano esserne consapevoli.

Il mandato elettorale a Tsipras era sembrato già abbastanza chiaro, ma nulla può impedire al premier ellenico di chiedere una conferma del proprio operato. In fondo si tratta di un voto di fiducia, espresso dal popolo anziché dal parlamento. Per qualcuno è un’astuzia: in caso di insuccesso, l’attuale governo potrà lavarsene le mani, accusando il popolo delle proprie scelte. Ma si può vedere questa mossa in modo opposto: un atto di umiltà politica, di fronte a scelte che investono pesantemente il destino di una nazione; o più semplicemente un atto di fiducia verso la democrazia, intesa nella sua originale (e bistrattata) concezione.

Della democrazia, in fondo, la Grecia ne è la culla. E se da un lato non può arrogarsi il diritto di darne lezioni agli altri Paesi (in fin dei conti, da Demostene ai Colonnelli, non ne ha saputo più mantenere la tradizione), dall’altro ha il diritto, come tutti i Paesi, di praticarla nella più completa sovranità.

Tsipras 1

Sicuramente Tsipras ha fatto alcuni errori. Nelle trattative con i creditori, sono mancati dei ragionamenti di ampio respiro sull’implementazione di riforme fondamentali (contro l’evasione fiscale, l’inefficienza della pubblica amministrazione e l’immobilità del mercato del lavoro, ad esempio) e più in generale sul rilancio del sistema greco, al di là dei pagamenti immediati dei debiti. Proposte di riforma di questo tipo non sono arrivate nemmeno dall’Europa, ma spettava a Syriza prendere un’iniziativa in tal senso.

L’Europa, però, deve un attimo fermarsi a riflettere. La Grecia in passato ha sbagliato (da un punto di vista europeo, non importa quale governo ellenico sia il maggior responsabile) e deve sicuramente pagare. Ma, se prendiamo in considerazione i sacrifici degli ultimi sei anni, siamo sicuri che non l’abbia già fatto? Sì, parliamo in termini morali e non prettamente contabili. Ma anche tecnicamente, è davvero indispensabile il saldo di tutti i debiti contratti? Forse basterebbe considerare l’identità dei creditori, per avere una risposta.

La domanda più importante di tutte, però, è un’altra.

In questo momento storico è più pericoloso mettere da parte l’intransigenza o la solidarietà? L’Europa, esattamente 70 anni fa, tra i due principi scelse di abbandonare il primo. Riusciamo a immaginare in che continente vivremmo oggi, se avesse fatto l’opposto?

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