Perché la Cina ha svalutato nuovamente la sua moneta

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Quando le valute si ribassano, lo fanno, spesso, in grande stile; nel corso della storia ci sono state diverse svalutazioni “drammatiche” che sono costate lacrime, sangue e qualche governo, basti pensare a quelle della Sterlina britannica e della Lira italiana nel 1992 o a quella del Peso argentino nel biennio 2001/2002.

La decisione cinese di deprezzare in soli tre giorni la valuta nazionale (Renminbi o Yuan) del 4,65%, allentando il suo proverbiale dirigismo, è da prendere come un fatto storico; il tutto se condito insieme al calo dei prezzi delle materie prime e all’affanno che stanno avendo i mercati emergenti più deboli, potrebbe esser preso come un fatto preoccupante per le economie di tutto il pianeta. Le mosse di Pechino, se dovessero continuare a ripetersi da qui a pochi giorni, scatenerebbero una guerra valutaria, che obbligherà, sicuramente, i concorrenti asiatici, per tener testa alla Cina, a rispondere con le proprie svalutazioni; nel frattempo, le borse di mezza Europa, mettendo in preventivo ulteriori svalutazioni future, in sole 72 ore hanno bruciato oltre 200 miliardi di Euro, anche se nella giornata di giovedì si sono viste delle piccole riprese.

Negli ambienti finanziari e negli uffici delle banche centrali di diversi paesi circolano voci contrastanti. Molti prevedono che se dovessero avvenire delle grosse svalutazioni delle monete asiatiche, esse porterebbero ad una nuova ondata deflazionistica in tutto il globo, con conseguenti perdite di posti di lavoro in Europa e Usa (principali partner cinesi) o margini di profitto ridotti o nulli. Ma una svalutazione del 4,65% difficilmente potrà dare una spinta efficace alle esportazioni cinesi, crollate dell’8,3% solo nel mese di luglio. Quindi questa mossa sembra più un avvertimento che altro. In particolare, può essere una risposta alle preoccupazioni del Fondo Monetario Internazionale sul fatto di concedere lo status di valuta di riserva allo Yuan e la sua inclusione nel paniere dei diritti speciali di prelievo (DSP). I Diritti speciali di prelievo sono un particolare tipo di valuta, è l’unità di conto del Fondo Monetario Internazionale, il cui valore è ricavato da una ponderazione fra le maggiori valute internazionali. Attualmente fanno parte dei DSP: il Dollaro statunitense, l’Euro, la Sterlina britannica e lo Yen giapponese.

Alla Cina piacerebbe molto ottenere questo status, in parte per ragioni di prestigio e in parte per aiutare il proprio settore finanziario, quindi un po’ di flessibilità alla propria valuta potrebbe aiutare, anche perché, la valuta cinese, per poter entrarvi, deve rispettare determinati parametri fissati dal FMI stesso.

Quello che molti si chiedono è se la Cina riuscirà a gestire in maniera efficace il tutto. Attualmente sta cercando, come un giocoliere, di destreggiarsi con diversi birilli in una sola volta; di passare da un’economia basata sugli investimenti a un modello guidato dai consumi, senza compromettere troppo la crescita e lo sviluppo; di tenere a freno la speculazione immobiliare e dei titoli azionari, senza danneggiare l’industria; di impegnarsi con i mercati, senza essere colpita dalla volatilità; di ampliare il suo settore finanziario, senza avere la sofferenza dei flussi di capitali a breve termine. Sarebbe davvero sorprendente e incredibile, se non dovesse cadere nemmeno uno fra questi ipotetici birilli.

Angelo Veneziano

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