Restituire

Sono sicuro che vi capita spesso di fermarvi d’improvviso. No, non fermarvi fisicamente. Quello sarebbe impossibile. Intendo un fermo di un tempo mentale. Tutto si muove. E voi siete lì. Vedete. Vi concentrate su qualcosa che d’improvviso sembra aver attratto la vostra attenzione. E non potete farci nulla. Non potete distrarvi. Perché avvertite di essere stati calamitati da qualcosa di molto forte: ecco, quello è un pensiero.

E capita spesso. Più spesso di quanto pensiamo. Solo che non siamo abituati a cogliere al volo il pensiero. Oggi a me è capitato. Leggevo qualche parola scritta da una cara amica. Si è messa a nudo. E ci ha messo a nudo. E non esiste azione più densa di significato che spogliarsi e farsi giudicare nella propria purezza.

E poi di colpo, eccolo. Un pensiero. Un’immagine. Poi un’altra. Poi un suono. Poi ancora immagini. L’immagine di un neonato ancora avvolto dal calore dell’utero che respira. Il primo respiro. Anelito di vita. Anelito di speranze. Affamato rigurgito del mondo, nel mondo. Un bambino, appena nato, che respira. E il respiro non è suo. L’aria che gonfia i polmoni e dona vita, non è sua. Gli viene donata. E lui la restituisce. Ecco così che la nostra prima azione è restituire. Restituire l’aria. Restituire il vento di vita. Restituire l’alito di speranza.

Restituire.

Rendere ciò che è stato dato ma non è proprio. Fare si che qualche cosa stia dov’era. Ritornare. Rimettere nello stato primitivo.

Ancora un pensiero. Ancora immagini. Ancora suoni. Questa volta sono sorrisi. Sono degli occhi verdi. Sono ciottoli e capelli di donna, corti. Cortissimi. Sono piedi scalzi che assaporano la prima schiuma. E timidi si ritraggono all’abbraccio del mare. Sono abbracci. Primitivi. Come sono tutti gli abbracci che sono davvero abbracci. Primitivi come la prima donna che abbracciò il primo uomo, o la prima donna che abbracciò la prima donna. O il neonato che si avviticchia al seno della madre.

Restituire amore, tornare in vita. Respiro. Alito. E non è amore, non parole, ma restituire. Restituire vita. Restituire verità. Restituire natura. Restituire istinti sopiti, ritornare animali. Sentire. Ed ecco che noi, tu, io diventa un dare e restituire sé stessi all’altro. Più che il donare. Restituire. Perché non si restituisce sgualcito o impoverito. E ciò che viene restituito è mutato e ci muta a sua volta, ed è un continuo dialogo. Perciò, la prossima volta che vedrò la ragazza che è centro di queste immagini, le dirò: io ti restituisco. E la bacerò.

Chiudo gli occhi. Ecco. Un altro pensiero. Lui. Lo vedo. Un mio amico. Grande. Non solo per la statura. Con lui è sempre un restituire. Restituire noi stessi, con qualcosa di più. Un caffè. Una chiacchiera. Una canzone e quattro note. Una risata. Vita. Si riceve, non si prende, e si restituisce. Ma no. Non vedo solo lui. Vedo amiche. Amici. Vedo persone che conosco. Vedo persone che non conosco e di cui non riconosco i volti. Non so chi siano, ma restituire è qualcosa che va molto al di là di qualcuno che conosco.

Con la mia vita, io restituisco. Quando nasco, il primo respiro, è restituire l’aria che mi entra dentro e mi infonde vita. La stessa vita che è stata insufflata da qualche altra parte nel mondo. La stessa aria che è stata insufflata per secoli. Così, quando morirò, il mio ultimo respiro, sarà restituire. Perché l’aria non la tratterò dentro di me. Con un ultimo respiro, restituirò la mia vita.

Così da quel primo, fino all’ultimo respiro, tutta la nostra vita è un restituire. Un restituire cui a volte non badiamo troppo. E così non restituiamo tempo per ascoltare. Non restituiamo un sorriso. Non restituiamo un abbraccio.

E se non si restituisce, tutto rimane così dov’è. Nulla si muove. E se nulla si muove, nulla vive.

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