Sapere, saper fare, saper essere.

Da studente di medicina mi scontro spesso con la concezione che l’unica “bravura” esistente sia quella in campo accademico. Hai buoni voti? Bene, allora sei sicuramente intelligente. Non hai dato esami? Allora sei sicuramente un buono a nulla che non combinerà niente nella vita. Basta. Tutto così semplice, niente sfumature.

Al giorno d’oggi sembra che sapere, nel senso nozionistico del termine, aver studiato per capirci, sia l’unico modo per essere considerati come interlocutori validi dall’altro, come qualcuno con cui valga la pena parlare. Me ne sono resa conto quando nel parlare con dei colleghi a pranzo, ci confrontavamo su quali studi avessero intrapreso i nostri genitori e i nostri nonni; subito mi sono trovata a difendere mio nonno: “ ha fatto la terza media, ma è una persona di grande cultura”.

Mi è venuto naturale aggiungere quel “ma” perché oggi “ha fatto la terza media” è diventato quasi un insulto: “hai fatto la terza media, che ne sai della vita”. Come se studiare fosse l’unico modo per “capire qualcosa della vita”, che poi chi sa cosa significa; che io ne sappia non ne ha mai capito nulla nemmeno il più grande dei letterati o degli scienziati. Badate bene non sto dicendo che studiare non sia importante, studiare allarga gli orizzonti, permette di capire il mondo in cui ci si trova e da gli strumenti per vivervi in maniera più consapevole. Tuttavia il quanto si sa non può essere l’unica misura che definisce il nostro giudizio su una persona. Non c’è bisogno di sapere tutto, per quello ci sono le enciclopedie, i libri di testo, internet. Non è importante solo il quanto, è importante il cosa e il come. Tornando a mio nonno, sì è vero ha fatto la terza media ma vi assicuro che la sua cultura è pari se non superiore alla mia che frequento l’università e non parlo di puro nozionismo, ma di capacità di ragionamento e di capacità critica nei confronti delle proprie conoscenze.

Non a tutti piace studiare, non tutti hanno la possibilità studiare, non tutti sono bravi nei test scolastici.

Abbiamo questa visione dicotomica della realtà, tutto è bianco o tutto è nero. Se vai male all’esame non hai studiato o non sei portato, se vai bene sei intelligente, sei portato, sei studioso. Nessuno considera le variabili complesse che possono intervenire. Non siamo automi, abbiamo emozioni e abbiamo una nostra vita, come ce l’ha chi ci interroga e, per quanto ci si provi, è difficile chiudere tutto dietro la porta dell’aula d’esame.  Un proverbio indiano recita: “Prima di giudicare una persona cammina nei suoi mocassini almeno per tre lune.”

E poi cos’è l’intelligenza, esiste solo un tipo di intelligenza? Saper risolvere le matrici di Raven (test di intelligenza che consiste nello scegliere un sesta figura che sia pertinente rispetto ad altre cinque ndr.) ti rende intelligente? Un mio amico direbbe di sì, io non la penso così. Per me l’intelligenza è una qualità poliedrica. Il più grande risolutore di indovinelli non sarebbe per me interessante se dovessi scoprire che la sua capacità di relazionarsi con le persone fosse uguale a zero. Intelligenza emotiva: una qualità su cui solo poche persone, che invidio molto, non hanno bisogno di lavorare.

Poco fa ho usato volontariamente la parola “intelligente”, perché è molto diffusa la tendenza a confondere l’intelligenza con la bravura accademica. “Quella ragazza va bene a scuola, è molto intelligente”, chi di voi non ha mai sentito pronunciare una frase del genere. Forse vi stupirà sapere che le persone più intelligenti che ho conosciuto non erano i primi della classe e avevano voti che erano nella media, niente di particolarmente eccezionale. Come la prima della classe non era poi così straordinariamente intelligente, semplicemente studiava tanto.

Tornando agli studenti di medicina, cosa ce ne facciamo di un medico che sa e che sa fare, se quel medico non sa ESSERE medico.

Noi studenti di medicina (mi ci metto anche io naturalmente) siamo tutti così concentrati sull’imparare le nozioni per l’esame, a prendere quel voto alto, che spesso perdiamo di vista l’obbiettivo fondamentale della nostra formazione, che è appunto quella di “formare” un medico capace e competente e non un pappagallo che conosca a memoria il decorso di tutte le arterie del corpo.

Concludo questo mio pensiero rivolgendomi a tutti coloro che si trovano in difficoltà nel proprio percorso accademico, coloro che per tante motivazioni diverse si trovano indietro con gli esami o che magari non hanno voti altissimi e che ogni volta hanno il timore di parlare della propria situazione accademica di fronte ai colleghi per evitare le occhiatacce e i falsi buonismi di quelle persone che fanno le finte comprensive per poi sparare giudizi dietro le spalle. Non fatevi condizionare dai giudizi altrui, voi solo conoscete il vostri percorso, ma soprattutto i vostri risultati accademici non vi definiscono, una persona è molto più di una somma di tutto ciò che sa. Nella vita occorre sapere, saper fare, saper essere.

Sofia Vecchioni

Comments are closed.