“Sei un pazzo!”

esco poco, penso solo e sto in mutande. Penso a delusioni a grandi imprese a una Tailandese mal’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale.

Disperato erotico stomp, Lucio Dalla.

Ma questo lo diceva Lucio Dalla. Ed era Lucio Dalla. Prima di poter dire la stessa cosa, prima di lanciarvi contro chi non corrisponde al vostro ideale di normalità, prima di tutto questo, vivete come Lucio Dalla. Siate Lucio Dalla. Sostanzialmente. Non formalmente perché fa pop ed è figo fare le citazioni culturali impegnate che oh mio dio quanto mi sento anti tendenza perché boh. Tutti finti alternativi che di alternativo hanno solo la faccia che usano con le altre persone. Un giorno una faccia, un altro giorno la cambiano.

Mi gioco il sacco scrotale che la maggior parte di voi, non avrebbe parlato minimamente con Lucio Dalla. Perché era strano. Diverso. Pazzo.

“sei un pazzo!”.

Cominci a far caso a quante volte e in che contesti viene usata questa parola.

Se fai questa cosa sei un pazzo. Stai impazzendo. Sei pazzo d’amore. La tua testa pazza. A volte occorre essere pazzi per farle. Una notte pazza. Una giornata pazza. Una pazza storia d’amore. Non so sei più pazzo tu o lei. Tra pazzi ci si intende. Ragioni come un pazzo.

Si, lo so. Ognuno di noi, nella nostra quotidianità, avrà usato queste frasi e questa parola con così tante accezioni diverse che non vi abbiamo nemmeno posto grande attenzione. Risulta normale.

Basta prendere un normalissimo dizionario per dotarsi di vanga e cominciare l’avventura. Sia di derivazione greca che di derivazione latina, pazzo e quindi pazzia, assume dei tratti davvero particolari. Dal greco, pathos, termine molto ampio che identifica l’infermità di corpo o di spirito,  ma anche l’impeto, la sofferenza d’animo e, figurativamente, l’intensità. Sempre dal greco, però, patheia e la relativa pronuncia pathia inchioda la sofferenza. Da che, anche in italiano, sappiamo che il suffisso -patia si aggiunge per determinare una pato-logia che è una condizione alterata da una fisio-logia “normale”.

Dal latino, similmente, patire. E qui, ancora una volta, si gioca con le parole che si rincorrono dense di significati. Patire, soffrire MA anche passio, passione, sempre dal latino passio deriva dal participio passato del verbo pati, patire. Dalla stessa radice, infine, si potrebbe digredire fino alla contrapposizione del termine con passione e azione (pact-/act-). Non le invento, eh…direttamente dal Treccani online:

“il termine passione si contrappone direttamente ad azione, ed indica perciò la condizione di passività da parte del soggetto, che si trova sottoposto a un’azione o un impressione esterna e ne subisce l’effetto sia nel fisico che nell’animo”.

Che confusione! In conclusione il pazzo, quindi non è un folle. Non è un mancante di senno. Il pazzo, non è un matto. Non è idiota. Non è stupido come il matto. Non è ridicolo come il matto. Non è vaporoso come il folle. Il pazzo, soffre. Decide di soffrire o si trova soffrire non importa, comunque, soffre. Non esiste nessun sinonimo di pazzo che non pazzo stesso.

E che tipo di sofferenza si tratta? Non è mica la sofferenza di chi si è escoriato il braccio. Non è la sofferenza di chi non trova la penna cui era affezionato. La stessa strada che abbiamo compiuto fino a qui ci dovrebbe aiutare non poco. È una sofferenza del fisico e dello spirito che ti domina. Non sei attivo nel soffrire, sei passivo. La soffri, appunto. È una sofferenza che spesso non ti sei scelto, che non hai fatto nulla per chiamare le sue spire a bramarti. Eppure, ecco. Soffri. Sei pazzo.

Sei pazzo d’amore. Giacché uno si trova a parlare di sofferenza e di qualcosa che si avvinghia a te non lasciandoti respirare, ecco che l’amore calza a pennello. L’amore è pazzo. Un amore pazzo. Pazzo d’amore o pazzo per amore. Hanno a che vedere con la stessa natura. Non manchi di senno, sei malato. Patisci l’amore. Almeno finché non ti trovi con l’amata o l’amato. A quel punto, il patimento, non esiste più.

Il pathos, che spesso sentiamo erroneamente pronunciare da chissà quale posticcio critico, cos’è? Cos’è se non percepire la tensione di un qualcosa, rendersi partecipe dell’incarnazione di un sentimento sacro quanto la stessa pazzia? Il pathos è comunione di spirito e ripartizione delle sofferenze. Perché generalmente si usa dire di una performance teatrale “che pathos!”? Perché? Perché ha scrutato dentro di noi, fin dentro le ossa. Perché se in un’opera teatrale non c’è pathos…non c’è struggimento, non c’è tensione e quindi patimento, l’opera teatrale ha fallito il suo scopo: essere uno specchio per l’umana miseria. Seppur quasi sempre con un lieto fine…perché tanto lo sappiamo che tutti noi vogliamo un lieto fine.

E ancora, occorre essere pazzi per fare qualcosa. Essere cosa? Occorre essere pronti al rischio. Occorre essere pronti a recepire il dolore. A considerare il dubbio e l’atroce discernere come una piccola lampada che ci accompagna nel nostro dolore quotidiano. Perché quando si effettua una scelta, anche se non lo sappiamo ancora, anche se mai accadrà, stiamo già morendo in tanti altri modi. Ogni volta che prendiamo una scelta, decidiamo di morire in modo diverso. E quindi ancora una volta la sofferenza dolce dell’esistere, e dell’esserci. Non c’è struggimento qui. Non c’è patimento fisico, qui. E, però, si è pazzi. O meglio, masochisti.

Una pazza storia d’amore. Una storia dal grande pathos. Perché il sentimento ha in sé la radice del patimento. Non a caso si usa l’espressione “ardere di passione” o “ardere d’amore”. L’ardere è una figura retorica abbastanza suggestiva. E però, ardere, brucia più velocemente. Ardere consuma. E consumare, porta a soffrire. Si viene arsi vivi. E, la maggior parte delle volte, ne siamo anche ben contenti. Attenzione che se ti avvicini troppo, ti scotti. Ma, intanto, bruci, ardi d’amore.

Le parole sono tanto suggestive quanto già molto esplicative.

Sei un pazzo a fare questa cosa. E che vuol dire? Un pazzo, capite? Un pazzo! Se fai questa cosa, la fai ben conscio che soffrirai. Dacché solo un pazzo farebbe qualcosa che nessun altro ha ancora fatto. Perché? Perché il nuovo potrebbe ucciderti. Il nuovo è sempre un rischio enorme. Il pazzo, si dà tutto. Il pazzo riversa ogni suo istante in quel che crede. Anche se fosse credere di volare. Lui vi crede intensamente anche a costo della propria vita. Perché lui, soffre. E soffre con tutto sé stesso. Corpo e anima. E cos’ha di diverso un pazzo da un non pazzo? Il fatto che considera la sofferenza non come una minaccia ma come una compagnia. Perché ha compreso che l’uomo soffre dal primo momento in cui ha cominciato a respirare venendo al mondo. L’uomo soffre da sempre.  Non potrebbe fare diversamente. L’uomo si consuma ed è già destinato a morire, nello stesso momento in cui nasce. Morirai perché sei nato. Quindi, accettata questa grande, unica, inappellabile verità, cosa te ne fai del soffrire? Dov’è una maggiore sofferenza nel sapere che sei nato per morire?

Forse c’è. Sei nato per morire solo. Sei nato per morire sapendo che sei vissuto solo. Sei nato per morire, sapendo che la tua vita non ha valso nulla. Sei nato per morire non sapendo quanta vita puoi trovare in un sorriso di chi hai appena aiutato. Sei nato per morire non conoscendo il calore di un abbraccio. Sei nato per morire, non essendoti mai deliziato del sapore di un bacio dalla persona che ami. Sei nato per morire senza aver conosciuto il piacere della scoperta, di comprendere una cosa, fartela amica e poi poterla rendere semplice e comprensibile a chi ancora non l’ha capita.

E così, il pazzo, chi è? Tante cose: è un infaticabile idealista che affronta il mondo ogni giorno con lo stesso impeto. Un abbattitore di muri, uno che non lo controlli perché su di lui il controllo è sfida ad evaderlo. Una persona difficile con cui trattare e contemporaneamente una delle persone migliori che incontrerai nella vita. Non perché abbia qualcosa di particolare, ma perchè quando dice qualcosa, non la falsifica. Quella è e quella rimane. Un distruttore di verità precostituite, perché un pazzo vuole vedere le fondamenta e se non ci sono le vuole erigere. Non da solo, certo. Il pazzo è uno che ti rivolta il mondo. Perché dove trova i tuoi non puoi farlo perché, lui arriva e li fa. E se ne frega del tuo essere normale. Perché non hai ancora capito che essere normale, serve solo per farti accettare da chi tu consideri normale. Ma qui c’è la storia: nessuno che abbia fatto qualcosa della propria veramente normale, perché il normale non prende decisioni. Sarà un bravissimo qualcosa, perché è normale essere bravissimi in qualcosa. Ma c’è un punto di cambio in cui smetti di camminare e inizi a volare. E lì, chi vola, non fa solo un passo. Si libra in aria, circola, svolazza, piega, vira con forza e picchia, solo per sentire il vento in faccia.

Alla fine della storia, cosa si potrebbe dire del pazzo? È una persona che, nella vita, cosa fa? È un idiota? Giammai. È per caso un superficiale perdigiorno? Ma nemmeno per nulla! Un masochista? Un illuso? Un fesso?

Il pazzo è uno che affronta ogni giorno la vita, dicendosi, “fai del tuo peggio, perché io farò sempre del mio meglio”.

Comments are closed.