Sono un bullo, sono il capo del mio branco

Mi chiamano bullo.

Sono un bullo. Domani gli faccio vedere cosa ho pensato, ci ho ragionato bene. Ho deciso che userò il mio branco, mi muoverò in branco, come gli animali che da soli sanno di valere meno. Distruggerò la sua voglia di vivere e forse anche la mia. Scoprirà un sacco di cose. Scoprirà che si può avere voglia di morire anche a 12 anni e lo scoprirò anche io. Lo umilierò, in un modo diverso.

L’ho visto fare nei film. Loro si divertono, anche se non ho capito bene il perché. Farò finta. Dicono c’entri col sesso, l’ho visto. Se non sta fermo gli do anche le botte. Dico agli altri di riempirlo di botte. Se non sta fermo.
Facciamo una specie di gioco sessuale, non sono sicuro si tratti di questo però. In tv dicono che a scuola l’educazione sessuale non devono insegnarla perché credono potrebbe deviarci. Deviarci? dove potrebbe condurmi se non in luoghi dove sono già arrivato da solo, per i fatti miei, a modo mio, chiuso in stanza senza nessuno che pretende di spiegare.

Gli altri si divertiranno moltissimo. Mi chiamano capo. Sono un bullo, sono il capo del mio branco. Non sono mai stato il capo. Neanche a casa. Anche lui mi chiama capo. In fondo è simpatico. E’ buono, non farebbe male a nessuno, neanche a me. Si, rideranno. Forse sanno già che a non farlo rischiano l’umiliazione. Ma non importa. Domani però tocca a lui, mi prenderò gioco del suo corpo che se lo facessero a me, giuro, piangerei. Io piangerei, proprio come sto facendo adesso, che non so neanche il perché e non riesco a dormire. Sono stanco, voglio dormire.

Sono diventato un carnefice. Sono un bullo. Uno dei peggiori.

Lo ha detto la tv e i professori che non si erano accorti di nulla. Mamma e Papà dicono che erano cose da ragazzini e che sicuramente non volevo. Però l’ho fatto. Io sono grande, non sono un ragazzino. Non riescono a guardarmi in faccia. Sono adulto, un carnefice adulto con le sembianze di un ragazzino.

L’ho umiliato. L’abbiamo umiliato e tutti ridevano. Anche io. Tranne lui. Lui non rideva. Piangeva e urlava ma a me non importava. Anche io piango e urlo, a volte, ma non è niente. Gli altri ridevano. Lo hanno saputo, gli altri. Aveva scoperto che si può avere voglia di morire a 12 anni, lo ha scritto su un foglio strappato dal quaderno di matematica. Era l’ultimo foglio.

Doveva parlare. Perchè non l’ha fatto?

Aveva troppa paura. Dicono provasse troppa vergogna. Ha scritto che non si trovava più, che si era perso, per colpa nostra. Che tanto si sentiva già quasi morto e che avrebbe dovuto fare qualcosa, punirci e appesantirci l’esistenza come noi la stavamo appesantendo a lui. Ha chiesto perdono a chi lo amava, mentre chi lo ama chiede adesso perdono a lui.

Sono un bullo. Magari mi avesse denunciato, magari l’avesse detto a tutti, subito. Vorrei che avesse urlato a tutti i nomi dei suoi carnefici. Adesso vorrei che la paura avesse tolto a me i respiri e non a lui. Che avessero fermato in tempo le mie mani macchiate ancora d’inchiostro. Vorrei che avesse parlato con chi chiedeva, e dato risposte a chi fissava i suoi occhi cercando di capire cosa c’era dentro il vuoto che tentava di nascondere. Vorrei non avesse provato vergogna o pena per se stesso. Vorrei che non avesse creduto che solo la morte sarebbe servita, perchè io continuavo a morire eppure non mi sono fermato.

 

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