Turchia, una luce in fondo al tunnel?

Gli attentati di ieri hanno avuto un tempismo inquietante. La Turchia aveva appena realizzato una “doppietta” diplomatica di rilievo, forse il suo più importante successo del 2016, nonché il primo concreto progresso nella politica di buon vicinato, ormai congelata da anni.

Di cosa si tratta? Dei ritrovati rapporti con Israele e Russia, vicini non confinanti ma fondamentali per l’economia e le relazioni internazionali di Ankara. Come e perché si sono raggiunti gli accordi?

Partiamo da Tel Aviv. Dopo sei anni di gelo, Israele ha riconosciuto un indennizzo di 20 milioni per le vittime dell’assalto alla nave Mavi Marmara, riaperto la possibilità di aiuti umanitari a Gaza (nonostante il mantenimento del blocco navale) e ripreso i canali diplomatici con Ankara (presto vi sarà lo scambio di ambasciatori). Si schiudono così enormi possibilità per l’economia israeliana, come ha ammesso lo stesso Netanyahu durante la sua visita a Roma (una su tutte, il possibile sfruttamento della Turchia come snodo dei nuovi gasdotti israeliani). Ma soprattutto si normalizzano le relazioni tra due partner storicamente amici, e oggi più che mai uniti dalla lotta regionale contro il fronte sciita. “Il nemico del mio nemico (Assad) è mio amico”. Una freddezza “innaturale”, dunque (nonostante vicende di questo tipo siano quasi una prassi, nel contraddittorio Medio Oriente), che non poteva durare troppo a lungo.

Il disgelo con Mosca, invece, appare meno scontato. Sebbene la crisi sia ufficialmente scoppiata solo sette mesi fa (con l’abbattimento di un velivolo russo al confine turco-siriano), non sono certo cessati i motivi di contrasto tra le due potenze. Di certo il messaggio di scuse di Erdogan a Putin, atto insolitamente umile per un leader altrimenti sprezzante come pochi, avrà avuto il suo effetto al Cremlino. E del resto era l’unica condizione richiesta da Mosca per la rimozione delle sue sanzioni verso Ankara. Tuttavia gli attriti sul futuro della Siria rimangono, così come le divergenze sulle rispettive influenze nel Caucaso. La Russia non tollererà una “fascia di sicurezza” turca attorno ad Aleppo, nel nord della Siria, né sarà felice per l’impegno di Ankara in sede NATO (che continuerà a rafforzarsi, a meno di sconvolgimenti post-Obama). Dal canto suo, Erdogan teme che l’appoggio di Mosca nei confronti dei curdi si trasformi in qualcosa di più formale, e ha paura che il suo impegno contro Assad venga polverizzato da un accordo tra Casa Bianca e Cremlino.

Adesso i due Paesi torneranno ufficialmente alleati “contro l’ISIS”, nonostante le ambiguità turche siano state apertamente denunciate dai russi solo qualche mese fa. L’occasione è già stata offerta dagli attentati di Istanbul, che hanno visto una telefonata di cordoglio di Putin a Erdogan (in vista di un prossimo incontro bilaterale). La Turchia è effettivamente nel mirino dei jihadisti, nessuno può negarlo: gli attacchi di ieri sono solo gli ultimi di una lunga scia di sangue. Resta da capire se si tratta degli stessi jihadisti che Erdogan ha deliberatamente sostenuto, nella lotta contro Assad, o di altri. Non è facile stabilirlo, anche perché il sultano turco di nemici se n’è fatti tanti.

L’isolamento internazionale e il terrorismo sono due alleati molto stretti. Da questo punto di vista, la situazione della Turchia era diventata insostenibile. Oltre alle tensioni interne (la questione curda, il bavaglio alle opposizioni, la rottura dentro l’AKP con l’abbandono di Davutoglu), la Turchia ha dovuto affrontare divergenze con gli americani e con l’Europa. L’accordo sui migranti, più che l’anticamera per nuovi accordi di adesione all’UE, è stato fonte di innumerevoli dissidi e incomprensioni. Forse un boomerang per lo stesso Erdogan, che ora guarda con preoccupazione alla Brexit (il Regno Unito è stato uno dei maggiori sponsor della Turchia in UE; l’uscita britannica probabilmente chiuderà il capitolo “allargamenti” per un bel po’ di tempo). Da ultimo, le recenti parole del Papa sul genocidio armeno hanno riacutizzato una crisi diplomatica in atto da tempo: l’ennesima di una politica estera avventata, in una delle peggiori fasi storiche che la Turchia ricordi.

Pur in una giornata drammatica, in cui sono morte decine di persone in uno dei luoghi sulla carta più sicuri del Paese (e in cui il cordoglio internazionale non sarà dei più sinceri), il ristabilimento dei rapporti con Israele e Russia (tra l’altro, due Paesi con una grande esperienza nella lotta al terrorismo) è tutto sommato una buona notizia per la Turchia. Le ipocrisie rimarranno, le ambiguità pure, ma Ankara vede una luce in fondo al tunnel in cui si è infilata. Ammesso che non sia un abbaglio.

Comments are closed.