Turchia non farà più rima con democrazia

Più volte, in questi giorni convulsi, mi sono fatto domande sulla sorte dei miei amici turchi. Grazie ai social network non è stato difficile sincerarmi delle loro condizioni di salute. Un po’ meno facile, tuttavia, è stato fargli domande sulla situazione politica del loro Paese. Sia perché la politica è sempre un argomento indiscreto, divisivo (figuriamoci oggi), sia perché, effettivamente, parlare del golpe turco con dei turchi residenti in Turchia tramite i social network non è proprio il massimo per la (loro) sicurezza.

Uno di loro, studente di Relazioni Internazionali attualmente residente a Istanbul, non ha avuto difficoltà a esporsi, anzi è stato contento di potersi sfogare con me. Evidentemente non deve essere così agevole farlo in Turchia al giorno d’oggi. Seguendo qualche precauzione, ho deciso di intervistarlo.

Said (il nome è di fantasia) ha 27 anni come me ed è stato per quattro anni in Italia prima di tornare nel suo Paese natale. È stato grazie a questa sua esperienza che ho avuto, tempo fa, il piacere di conoscerlo, nonché l’occasione di essere invitato a visitare Istanbul. Un viaggio che, purtroppo, per il momento sarà meglio rimandare.

UTOPIA: Ciao Said, tu vivi a Istanbul ma hai avuto la possibilità di stare in Italia negli anni scorsi, che idea ti sei fatto della situazione del tuo Paese?

SAID: Per prima cosa, vorrei ringraziarti per l’intervista. Come hai anticipato ho avuto la possibilità di vivere quattro anni in un Paese europeo. Prima di venire in Europa avevo l’impressione che la Turchia fosse quasi il miglior Paese del mondo, che noi turchi avessimo tutte le libertà godute dai cittadini europei. Mi sbagliavo. Ero cresciuto con la propaganda. Dopo aver vissuto in Italia ho potuto comprendere i diritti umani, lo stato di diritto, la separazione dei poteri, il secolarismo e la libertà di religione.

La Turchia ha avuto molti colpi di stato militari: nel 1950, 1972, 1980, 1998 e quello “post-moderno” del 2007. Dunque noi turchi conosciamo molto bene i tentativi militari di prendere il potere. A partire dal 2011, e in particolare dallo scandalo di corruzione del 17 dicembre 2013 (in cui furono arrestati i ministri dell’interno, dell’economia e dell’ambiente, ndr) la Turchia ha iniziato ad allontanarsi dalla rule of law. Il partito di Erdogan, l’AKP, è diventato sempre più autoritario cercando di incorporare tutti i poteri nelle sue mani. Passo dopo passo ha stretto la morsa sui gruppi d’opposizione nei media, nelle imprese pubbliche e nel settore privato. Erdogan vuole una lealtà incondizionata da tutti i gruppi ma soffre di gravi problemi nelle relazioni con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri attori della regione.

Alle 21.30 del 15 luglio è cominciato un colpo di stato dall’esito incerto. A quanto pare solo un piccolo gruppo di militari ha partecipato al tentativo, e solo ad Ankara e Istanbul. Saprete anche voi com’è andata a finire. Dopo il fallimento del golpe, Erdogan ha cominciato a fare pulizie in tutte le istituzioni: ad oggi (19 luglio, ndr) almeno 8000 persone sono state arrestate.

U – La notte del 15 luglio tu eri a Istanbul. Come hai vissuto quelle ore? La copertura mediatica ti ha consentito di capire esattamente cosa stesse accadendo?

S – Ero a casa con la mia famiglia. Quando ho visto due carri armati e 50 soldati sul ponte nel Bosforo ho creduto che ci fosse una minaccia terroristica, o forse che l’ISIS avesse messo un’autobomba sul ponte. Dopo in tv abbiamo visto il nostro primo ministro, Binali Yildirim, parlare di un colpo di stato in corso, compiuto da una piccola parte dell’esercito turco. “Non lo accetteremo mai, resisteremo”, ha detto. Ho pensato che se Erdogan fosse scappato all’estero il golpe avrebbe avuto successo, perché i principali capi dell’esercito l’avrebbero supportato. Invece poco dopo è comparso Erdogan, e ha invocato la resistenza civile nelle vie e nelle piazze del Paese.

U – Credi alla versione ufficiale dei fatti?

S – Credo che le cose siano andate in modo diverso. Qualcuno ha voluto organizzare il golpe. Qualcun altro (probabilmente alti ufficiali) ha coinvolto ufficiali nazionalisti, kemalisti e gulenisti ma poi ha comunicato tutto a Erdogan, facendo così un doppio gioco. Quando Erdogan ha capito che gli alti ufficiali erano dalla sua parte, ha lasciato che il golpe cominciasse sapendo che sarebbe fallito. Così ha trovato il modo per arrestare i suoi oppositori.

Un’altra possibilità è che la tempistica del golpe sia stata sbagliata. Alcuni giornalisti hanno detto che il piano era stato scoperto dai servizi d’intelligence e per questo i golpisti hanno cominciato ad attuarlo molto prima di quanto avessero pianificato. L’organizzazione non è stata professionale. I soldati si sono uccisi a vicenda in modo folle. Il golpe non aveva chance di successo. Erdogan ha cominciato a usarlo come un’opportunità per fare migliaia di arresti, sospensioni e licenziamenti. E sta continuando. Il punto è: come ha ottenuto l’informazione che queste 30mila persone siano state coinvolte, in soli due giorni? Su quali basi?

U – È un’opinione diffusa in Turchia?

La maggior parte delle persone pensa che sia stato un golpe autentico, ma altri dicono che è stato un piano di Erdogan per ridisegnare il suo potere in Turchia. Io la penso più come questi ultimi. Non ho mai vissuto personalmente nessuna azione militare del genere ma tutti i membri della mia famiglia mi hanno detto che un colpo di stato non può essere fatto nel modo che abbiamo visto.

U – Golpe vero o fittizio, le sue conseguenze sono tangibili già da oggi.

S – Ora in Turchia non ci saranno più giustizia, legge ed esercito: sarà tutto sotto il controllo di Erdogan e del suo governo. Loro possono fare tutto quello che vogliono. Siamo sull’orlo del baratro. Due tra le più importanti organizzazioni per il rispetto dei diritti umani in Turchia (IHD e TIHV) hanno criticato con una dichiarazione le parole di Erdogan sulla pena di morte: “È inaccettabile che Erdogan menzioni la pena di morte. La Turchia ha cancellato la pena capitale dalla sua legislazione e non può riportarla indietro” (Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, ma non sia mai: le organizzazioni per i diritti umani sono ovviamente contro il golpe).

U – Tu e la tua famiglia avete temuto per la vostra vita o per la vostra libertà, la notte del 15 luglio? E nei giorni successivi? Vi sentite esposti in qualche modo verso la repressione, che sta colpendo diversi strati sociali e professionali?

S – Ci siamo trovati tra due situazioni antidemocratiche, il golpe militare e il regime autoritario di Erdogan. Mio padre consiglia a me e a tutti i miei fratelli di lasciare la Turchia, perché qui il futuro è opaco. In famiglia speriamo in una maggiore democrazia e certezza del diritto, nella libertà di stampa e in quella di espressione. Ma la nostra vita non sarà mai più come quella di una volta. Eravamo un Paese modello per tutto il Medio Oriente, ma, triste dirlo, siamo diventati come gli altri, forse anche peggio. Non ci interessano solo le issues relative alla sicurezza, noi chiediamo cose più importanti.

U – Ma temete qualche ritorsione a livello personale? Noi stiamo parlando tramite chat, e conosciamo entrambi le restrizioni sui social network… non temi di essere controllato e denunciato per quello che dici?

S – Io sono contro Erdogan, qualche volta lo critico su facebook e sulle altre piattaforme dei social media. I miei familiari mi avvisano di non parlare su facebook, di non dire niente su Erdogan, che potrei essere arrestato per questo. Tutti sono spaventati di parlare, pensare e discuterne. Quando dici qualcosa di differente, i fan di Erdogan dicono che sei un nemico dello Stato. Il governo ha invitato la gente a denunciare chi ha supportato il colpo di stato, chi è anti-Erdogan e chi non sta con il governo.

U – Beh, allora ammiro il tuo coraggio. Stai attento però.

S – Grazie. Mio padre ha chiuso il suo account facebook e io ho cancellato i miei messaggi e post precedenti. Ogni giorno lo faccio. In Turchia, tutti usiamo precauzioni del genere.

U – In Italia e in generale in Occidente molti la pensano come te. Persino in altri Paesi del Medio Oriente Erdogan è poco amato, a causa delle sue posizioni politiche e delle sue ingerenze. Come mai in Turchia ha tutto questo sostegno? È per colpa del nazionalismo, del conservatorismo o di altro?

S – Alla maggior parte della popolazione, in Turchia, non importa nulla della democrazia, dello stato di diritto, della libertà di stampa e di espressione. La gente qui crede che la Turchia sia il miglior Paese della regione, e che i Paesi occidentali non le permettono di crescere. Invece di discutere del processo di adesione all’UE, delle relazioni con la NATO e con gli USA, o di riforme importanti, l’opinione pubblica sta discutendo della pena di morte e del sistema presidenziale… che delusione.

U – E di Erdogan cosa mi dici?

S – Erdogan non avrebbe nemmeno lavorato senza la politica, è cresciuto nelle strade ed è stato un “prodigio” politico, ma è anche un malato. Ha la capacità di portare milioni di persone nelle strade in un’ora. Sì, è il leader legittimo della Turchia, ma noi non possiamo organizzare le elezioni in modo democratico. Abbiamo quattro partiti in parlamento, ma nel periodo elettorale tutti i canali televisivi fanno propaganda per Erdogan. Il suo budget è illimitato ed è impossibile da controllare. Il sultano è più forte che mai oggi. Capisci cosa intendo?

U – Certo, capisco. E sostengo te e la tua causa. Ho capito la tua posizione riguardo il golpe. Ma cosa pensi del regime change? È ancora possibile, secondo te, gestirlo attraverso una transizione pacifica e democratica? O credi che la Turchia sarà coinvolta in una guerra civile, o in qualcosa del genere?

S – Sì, credo che se la Turchia non si normalizzerà velocemente, avrà seri problemi come terrorismo, assassinii politici e guerra civile. Nemmeno la sua economia sta andando molto bene.

U – Per non parlare delle relazioni internazionali.

S – La Turchia con Erdogan è uscita fuori dai valori della NATO. Penso che i Paesi occidentali e gli USA stiano chiudendo gli occhi, perché in Medio Oriente hanno bisogno di un partner come la Turchia, in una posizione importante per una distribuzione geopolitica del potere e per la crisi dei rifugiati siriani.

U – Pensi di restare in Turchia? Oppure vuoi andare via dal tuo Paese? Ad esempio tornare in Italia?

S – Voglio essere vicino alla mia famiglia, per cui devo restare in Turchia. Se la mia famiglia potesse trasferirsi in Italia l’avrei assolutamente seguita. Le persone che hanno studiato all’università o che conoscono lingue straniere non vogliono più vivere in Turchia. Tutti i miei amici mi dicono di tornare in Italia, ma la mia famiglia è qui.

U – Capisco… ma, se le cose dovessero mettersi male, sappi che la porta da noi è sempre aperta.

S – Grazie Pietro. Ho sempre sostenuto che l’Italia sia il mio secondo Paese e la mia seconda casa.

U – Grazie per l’intervista e per la tua voce libera.

 S – Grazie a te.

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