Vado o resto?

Quante volte vi è capitato negli ultimi anni di confrontarvi con un amico, parente o collega circa le sue prospettive per il futuro? Quanti di questi hanno manifestato volontà di lasciare il paese d’origine?

Probabilmente è uno dei temi di cui più si abusa, ma che tuttavia bisogna riconoscere non perde mai d’attualità. Inoltre, è necessario evitare di rintracciare le ragioni di questa volontà migratoria esclusivamente nelle difficoltà di inserimento lavorativo, ma piuttosto in un più articolato sistema di motivazioni.

Secondo alcuni dati ottenuti in esclusiva dal Sole 24 Ore, nel 2104 sono stati 101.297 i nostri connazionali emigranti, di cui il 56% sono uomini e il 44% donne. Trend in crescita rispetto ai dati del 1013. Le tre mete preferite dagli italiani restano in ordine decrescente Germania, Regno Unito, Svizzera. Complessivamente gli italiani residenti oltre confine hanno superato quota 4,6 milioni. [23 Marzo 2015]

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Tratto da: La fuga dei talenti / Il Sole 24 ore

Prendendo le mosse proprio dalle ragioni di carattere economico, è bene chiarire tuttavia che sarebbe un errore non attribuire alle difficoltà lavorative il titolo di motivazione principe, d’altro canto i dati Istat 2014 sulla disoccupazione giovanile età 15-24 anni (qui di seguito), parlano abbastanza chiaro: tasso oltre il 42% e trend in costante aumento dal 2008. I dati dello stesso anno sulla disoccupazione generale assestano il tasso alle 12,7%. Nelle ultime ore i quotidiani italiani riportano un minimo abbassamento di entrambi i tassi rispettivamente dello 0,1 e 0,2 punti percentuali.

 

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Fonte: Istat/2014

Esistono però altri fattori che contribuiscono alla crescita del fenomeno migratorio di talenti italiani all’estero, che siano talenti intellettuali (vedi il caso dei numerosi ricercatori italiani nel mondo), o che esportino altre nostre preziose qualità (vedi la cultura culinaria).

Tra queste spicca, fuor di dubbio, il diffuso sentimento di isolamento istituzionale e la disaffezione nei confronti della classe politica italiana. I cittadini italiani sentono di non essere più rappresentati dalla classe politica, dalla quale avvertono una distanza siderale. La comprovata crisi del Welfare-state italiano, è aggravata dalla circostanza, tutt’altro che secondaria, che la dialettica politica continua ad affrontare le fratture sociali, non programmaticamente, ma come temi di quella che ormai è possibile definire come un’eterna campagna elettorale che è l’azione di governo.

Questo si traduce in astensionismo in sede elettorale, disinteresse alle tematiche politico-istituzionali, calo della partecipazione politica o al cosiddetto clickattivism, tipico di chi si limita a condividere notizie sui social network, in un bolla di totale disinteresse. (Qui di sotto dati istat del 2010 sulla partecipazione – informazione politica italiana in un campione di 100 cittadini).

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Fonte: Istat/2010

Conseguenza? Nella coscienza degli aspiranti migranti italiani c’è posto solo per la programmazione della vita fuori dai confini nazionali, una totale resa e ritirata dal campo di battaglia sociale. L’aspettativa di trovare condizioni economiche, civiche e socio-politiche migliori, la speranza che sia realtà il mito dell’ascensore sociale di cui tutti parlano e che tutti sognano di utilizzare, confuta qualsiasi dubbio e scaccia qualsiasi paura, anche difronte a chi per pigrizia o per diretta esperienza paventa difficoltà di inserimento o adattamento. Fuori è meglio.

In termini di socializzazione è possibile affermare che le volontà migratorie dei nuovi giovani italiani, sono spesso il prodotto di opere di convincimento da parte dei genitori, amici o di chiunque abbia già fatto esperienze all’estero. Crescere un figlio preparandolo all’idea di dover lasciare l’Italia per studio o per lavoro, è diventata una colonna portante della struttura educativa dei genitori italiani. Chi sceglie di cresce i propri figli sulle basi di valori civici, sull’idea di correttezza ed onestà, troverà quasi naturale aprire i loro orizzonti spaziali/culturali, oltre l’orizzonte italiano, dove, spiace dirlo, i valori di cui sopra, sono da troppo tempo calpestati.

Chiaramente esiste anche una fitta schiera di italiani giovani e meno giovani che hanno deciso di restare, fermi sull’idea di non estirpare le proprie radici e vogliosi di partecipazione, per provare a cambiare le condizioni del paese che sentono ancora loro, nonostante tutto. Vado o resto, quindi, è una scelta che tiene conto di componenti culturali, di socializzazione, economiche, di partecipazione politica.

Robert Lee Frost scriveva: Due strade divergevano in un bosco, ed io — Io presi quella meno battuta, E questo ha fatto tutta la differenza. Volendoci affidare al consiglio del saggio Frost, nel caso italiano qual’è la strada più battuta: quella di chi va via, quindi converrebbe restare per cambiare le cose, o viceversa quella di chi resta per pigrizia o cocciutaggine, quindi sarebbe meglio andar via? Voi che fareste?

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