Paese dei cedri, fragile mosaico e promessa

Passeggiando per una collina punteggiata di cedri, a Lione, la mia amica Suzanne mi racconta del suo Libano e le si illuminano gli occhi. È una luce inconfondibile, che ho visto tante volte negli sguardi dei miei amici libanesi all’estero. Una luce fatta di tenerezza e nostalgia, di amore e tristezza, quasi di istinto materno. Del resto, loro qui sono i custodi e gli ambasciatori di quel piccolo Paese, stretto tra due vicini potenti e ingarbugliati, la cui sorte è stata troppo spesso decisa al di fuori dei confini nazionali.

Qualche giorno fa, dopo le stragi di Beirut e di Parigi, un altro amico di origine libanese diceva su Facebook di non aver mai visto tanta gente esprimere solidarietà e condanna dopo l’esplosione di una bomba in Libano. Si tratta di qualcosa che accade all’incirca ogni nove mesi, e a cui il Paese non è nuovo. Ma stavolta è davvero solo un’altra bomba? – si chiedeva. Non ho potuto non condividere la sua domanda. La sera in cui i due terroristi si sono fatti esplodere nel quartiere di Bourj el-Barajneh ho temuto anch’io che si potesse trattare di due bombe più pericolose delle precedenti, venute a turbare un equilibrio già difficile.

Christian Ghammachi
©Christian Ghammachi

Il Libano, spesso definito un “fragile mosaico” con le sue ventidue comunità etniche e i suoi diciassette gruppi religiosi, si trova infatti in questo momento in una fase di particolare fragilità. Con la guerra in Siria dall’altro lato dei 375 chilometri di frontiera comune, il Paese ha visto l’arrivo di frange jihadiste nei territori dell’est, ma si è soprattutto trovato coinvolto nei combattimenti da quando la milizia sciita di Hezbollah è intervenuta a sostegno del regime di Assad nel 2012. Il conflitto nel Paese vicino ha poi generato una sfida umanitaria non indifferente per l’arrivo di un numero di profughi pari a circa un quarto della popolazione libanese. La crisi siriana rischia soprattutto di ravvivare le tensioni comunitarie, in particolare tra sunniti e sciiti. Le tensioni non mancano anche sul piano della politica interna, in cui un vuoto presidenziale sussiste da più di un anno e le sfide quotidiane da affrontare sono numerose, dalla corruzione ai problemi legati alle infrastrutture carenti e allo smaltimento dei rifiuti.

La situazione è complessa e delicata, dunque. Ma, qui come altrove, c’è da sperare e da scommettere sulla pace, sull’altra verità. La luce negli occhi dei miei amici racconta di un Libano diverso, un Paese unito nel silenzio della quotidianità, in cui le persone di diverse etnie e religioni lavorano fianco a fianco, in pace e per il bene comune. È una quotidianità operosa che loro conoscono bene, e da cui sperano di veder nascere un Libano prospero e, perché no, finalmente pienamente sovrano. Loro, nati nei terribili anni della guerra fratricida, hanno scelto di credere al progetto di un Paese unito, neutrale e indipendente. Si tratta di un progetto civile prima che politico, nato dalle macerie della guerra civile e coagulatosi nella cosiddetta “Rivoluzione del Cedro” scoppiata all’indomani dell’assassinio del primo ministro Hariri nel 2005. Il fatto importante è che, nonostante tutte le fratture che attraversano il loro piccolo Paese, i libanesi condividono una forte identità nazionale e una ricchissima cultura, che fa di loro, indiscutibilmente, un solo popolo. Quattro milioni di libanesi in patria e moltissimi all’estero si riconoscono nella stessa vibrante arte, musica, letteratura, nella stessa storia millenaria.

Mehmet Seyit
©Mehmet Seyit

Forse allora anche l’Europa, nei suoi rapporti con il vicino mediterraneo, può scommettere di più su questo modello unico di unità nella diversità, di cui si parla poco, mettendo da parte faziosità datate e facendosi sostenitrice e promotrice di un Libano unito e realmente indipendente. Ciò dovrebbe concretizzarsi innanzitutto in un appoggio più deciso al rafforzamento della sovranità statale: di certo, finché nel Paese agirà una milizia non statale asservita ad interessi esterni il progetto di unità nazionale non potrà compiersi. Ma l’Europa dovrebbe anche investire su una più intensa cooperazione culturale, attraverso il sostegno, la promozione e la diffusione dell’immenso patrimonio storico e artistico di questo Paese, della sua vera identità. Un’occasione in più per dimostrare che ci interessa davvero la stabilità del Medio Oriente.

C’è da sperare che il mosaico libanese, seppur fragile, saprà resistere alle bombe e mantenere la sua promessa di pace.

Qualche pennellata sul Libano e la sua cultura:

  • Un film – E ora dove andiamo? di e con Nadine Labaki
  • Un sito web – livelovelebanon.com (Instagram: @livelovelebanon)

 

Emanuela Cavaleri

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