86.400 secondi al giorno

Un anno.

Spesso non facciamo attenzione a quanto il tempo possa avere valore. Il tempo in sé, forse, tutto sommato, non ne ha. Perché il tempo, in sé, non esiste in quanto unità fisica empirica (per le conoscenze della fisica attuali) ma esiste in quanto unità relative. Noi siamo immersi nel tempo e misuriamo il tempo, misurando noi stessi.

Un secondo. Un giorno. Un anno. In un giorno ci sono 86.400 secondi. In un anno ce ne sono 31.536.000. Un anno di 365 giorni chiaramente. Ma questi sono ragionamenti algebrici che esistono solo in questo foglio in bianco e nero. Il tempo si dilata e si restringe. Perché il tempo è relativo. Come relativi siamo noi. Cosa accade in un anno? Pensiamoci. In un anno, discuti con l’amico, conosci l’amore, perdi l’amore, viaggi, se sei fortunato anche più volte. Magari muore qualcuno. Un parente. Un amico. In un anno accadono tante di quelle cose che difficilmente si riesce a considerarle tutte assieme e nello spazio di un foglio. Ma sommariamente, se ci si mette seduti e rilassati, in un anno, ci si rende conto di aver appreso molto.
Provo io, prima di voi. L’ultima volta che ho scritto per Vagabolando, risale al dicembre 2014. Oggi è il dicembre 2015. Un anno esatto dall’ultima volta.
Cosa è cambiato? Cosa ho appreso? Cosa no? Cosa ho disilluso?

In quest’anno ho appreso di non poter fare tutto quello che voglio. E di dover organizzare non il mio tempo ma me nel tempo. Studiare Medicina, partecipare a convegni, scrivere per Utopia, leggere, informarsi, scrivere. Ho imparato che la volontà di fare non basta per fare. Occorre la disciplina. L’organizzazione. La costanza. La serietà e l’onestà. Perché occorre prendersi responsabilmente conto che onestamente qualcosa non si riesce a farla e dedicare a questa qualcosa il tempo che necessita. E se non si riesce, vuol dire che le priorità sono cambiate.

In quest’anno ho imparato che le persone muoiono di solitudine. Ho imparato che un anziano in un centro di ricovero o casa di cura, sopravvive due anni e poi la solitudine, lo sconforto e la depressione lo avvolgono in un velo che lo accompagna fino alla bara. Ho imparato che la sofferenza è visibile e tastabile ma non riconoscibile ugualmente. Ho imparato che il dialogo e il conforto, se mancano, possono essere una causa di morte. Mio nonno, quest’anno è morto. Giusto un mese fa, oggi. Ho imparato che per quanto vorremmo salvare il mondo, dobbiamo rinunciare a quest’idea. Perché non possiamo salvare chi non vuole essere salvato. Ho imparato che vale più la presenza ad un funerale che la presenza durante tutta la vita. E che l’assenza durante la tumulazione vale più dell’assenza di una figura familiare forte. Almeno per alcuni, è così. Per me no. Non lo sarà mai.

Ho imparato che la depressione, l’ansia, l’angoscia, l’incertezza per il futuro e il maltrattamento familiare durante la crescita, sono dei mali condivisi. Ho imparato che non ci sono progetti e ambiti in cui questi non intervengono. E ho imparato, mio malgrado, come non avrei voluto imparare, che non c’è solo un modo per uscirne. E che ognuno, anche fosse la compagna della tua vita attuale, deve fare il suo percorso. Quale che sia. Non ci si può sostituire e non si deve farlo, per quanto appaia di facile esecuzione, nella vita degli altri. Ognuno deve combattere la propria battaglia. Da solo. Perché è da soli che si apprendono le lezioni e si forma il carattere.

Ho imparato che il sostegno è una cosa, il paternalismo è un’altra.
Ho imparato che camminare tra I boschi è l’esercizio più salutare che ogni uomo o donna che esista possa fare per ritornare alla natura. Al suo stato naturale. Mentale, spirituale e fisico. Ho imparato che nella natura, come sostenevano Goethe, Thoreau e tanti altri uomini ben più immensi di me che sono così piccolo al loro confronto, l’uomo non contempla sé stesso ma sé stesso in quanto parte del tutto, e da parte del tutto, si scopre e scopre l’immenso. E quindi, vive. E quindi, respira. E quindi, ama. E quindi, è.

Ho imparato che occorre sapere per saper fare, e che occorre saper essere perché altri ti consentano di saper fare. Perché spesso tendiamo a sottovalutare l’incisività che un medico può avere nelle vite del paziente, dimenticandoci del fatto che un paziente, quale che sia, quando ci raggiunge, è prima di tutto spaventato e straniero. E ha bisogno di ascolto, empatia e rassicurazioni. Ho imparato che è vero quel che si dice degli studenti di Medicina. La maggior parte sono brutta gente. Ma ho anche imparato che la bella gente si riconosce da un sorriso, e che spesso dietro un sorriso c’è una storia che il sorriso lo toglie. Ma di bella gente, di quella gente solare e che è un piacere per il cuore, ne è pieno il mondo. Occorre solo sapere cercare e distinguere.

tempo-che-sfugge

Ho imparato che l’amore è una cosa che impegna. Ed è per questo che viene allontanato da tutti. Perché richiede impegno, scegliere e scegliersi. Pazienza. Calma. Discernimento. Comprensione. Per amare occorre il virtuosismo dell’anima. Perché nessuno nasce con un manuale sul come si ama, ma I folli che si avventurano provano sulla loro pelle che l’amore è fatto di scelte, piccole scelte quotidiane. Affrontare I problemi assieme. Quelli piccoli e quelli insormontabili. Con la coscienza e la speranza. Non con la disillusione e il patimento.
Ho imparato che chi non sa fare e non sa essere, impiega il proprio tempo sbandierando a gran voce “niente, questo non si può fare” come a voler cercare una scusa comune sul fatto che non ci si è preparati abbastanza per svolgere quella particolare cosa o per essere in quel particolare modo. Ho imparato che chi sceglie sempre il bene, a dispetto della calunnia, del dispetto, del pettegolezzo, della cattiva parola e del cattivo pensiero, dorme sereno.
E agisce sereno. E parla sereno.
Ho imparato che non esiste nulla di davvero impossibile ma solo tante cose particolarmente difficili. E che è il difficile che misura quanto in là vogliamo andare.
Frequentando il Segretariato Italiano degli Studenti di Medicina, ho scoperto che esistono tante persone che hanno una chiara idea di cosa voglia dire formarsi per essere belle persone. Mi hanno insegnato l’educazione peer to peer, mi hanno messo in mano gli strumenti per costruire quel saper essere che nessuno potrà mai insegnare ma che ognuno di noi deve modellare su sé stesso.

Ho imparato che in un giorno ci sono 86.400 secondi. E che se ci pensate sono tanti. Molti. Moltissimi. Più di quanto si riesca effettivamente a pensare. E che, magari, se li considerassimo una valuta, una moneta, saremmo più oculati in come spendiamo noi nel tempo, non il nostro tempo. Perché di certo è che il tempo non è nostro.

Comments are closed.