Aiuto, arriva il Gender!

L’abbattimento degli stereotipi di genere è una delle tematiche che da sempre mi stanno più a cuore. Proprio quest’anno abbiamo visto insediarsi prepotentemente nelle case degli italiani un misto di paura e confusione per l’arrivo del famigerato “Gender”!
A riprova di ciò basti pensare alla decisione del sindaco di Venezia che nel giugno 2015 ritenne necessario bandire i cosiddetti “libri gender” dalle scuole, e alla seguente presa di posizione del sindaco di Padova, il quale, il 10 Novembre 2015, negò a Michela Marzano la possibilità di presentare il suo libro, “Papà, mamma e gender”, nella sala comunale della città.

Sono convinta che né il sindaco di Padova, né quello di Venezia abbiano la minima idea di cosa sia il gender. Questa parola che fa così tanta paura!1

Ma credo fermamente in quello che ha detto Albert Camus: <<Nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo>>.
Così invece di gridare “Al lupo! Al lupo!”, senza sapere di cosa si stia realmente parlando (come accade spesso in questo paese), forse sarebbe meglio cercare di capire di cosa tratti l’argomento.

E’ indicativo il fatto che si continui a impedire un’educazione in grado di prevenire stereotipi e discriminazioni nei confronti delle donne e della comunità LGBT e soprattutto che ponga fine alla violenza di genere. Quello che non si conosce, infatti, fa paura, crea ottusità e quindi avversità e violenza, sia psicologica che fisica.

Non esiste nessuna “ideologia gender” come spesso si sente dire! Vi svelo un segreto… Il genere non esiste! E sapete perché? Perché è una costruzione culturale che attribuisce delle caratteristiche, dei modelli a seconda del sesso di appartenenza, e cambia da cultura a cultura, nel luogo e nel tempo. Vi siete mai chiesti perché essere maschi o essere femmine condiziona così tanto le opinioni altrui?

Gli Stereotipi di Genere contengono pregiudizi e quindi discriminazioni relative a una realtà storicamente segnata da asimmetrie di potere tra donne e uomini. Difatti gli stereotipi di genere definiscono i comportamenti e le caratteristiche che si credono adeguati per i maschi e per le femmine.
Pensateci: dal momento in cui i nostri genitori sono in attesa, la società ci impone determinati ruoli e si aspetta determinati comportamenti da noi a seconda che siamo femmine o maschi. Il solo fatto che quando nasca una bambina si appenda un fiocco rosa, mentre se è un bambino si appende un fiocco blu è già uno stereotipo di genere.

2Se sei femmina:

  • Appendono un fiocco rosa alla porta prima che tu nasca;
  • Si aspettano tu giochi con le Barbie, con giochi relativi alla realtà domestica;
  • Devi essere affettuosa, bella, emotiva, vulnerabile, gelosa, fedele, etc. altrimenti sei un “maschiaccio” (e comunque essere “maschiaccio” viene spesso visto dalle bambine come qualcosa di figo perché si associa al maschio il ruolo più importante);

Se sei maschio:

  • Appendono un fiocco blu alla porta prima che tu nasca;
  • Si aspettano tu giochi con macchinine e giochi di “forza”;
  • Devi essere forte, razionale, coraggioso, sicuro, orgoglioso, infedele etc. non devi piangere, altrimenti sei una “femminuccia” (e non è mai visto come qualcosa di positivo l’esser “femminuccia”, viene visto come sinonimo di codardia e debolezza perché si fa riferimento a quello che addirittura viene chiamato “sesso debole”).

3L’abbattimento degli stereotipi di genere indotti (molto spesso inconsapevolmente) dalla famiglia, dalla scuola, dai media e dalla società, non vuol dire “rendere uomini e donne indifferenziati”. Non va confuso il concetto di “identità” di genere con “uguaglianza” di genere.

Ogni persona ha dei diritti essenziali che costituiscono i valori fondamentali della dignità umana. Ed è giusto che cresca libera da ogni pregiudizio: una bambina può giocare a calcio e fare carriera in astrofisica esattamente come può farlo un bambino. Un bambino infatti può amare la cucina o la danza, diventare un ottimo maestro o qualsiasi cosa voglia senza che per questo debba essere chiamato “femminuccia” o ancor peggio, “gay”. Perché c’è anche questa fantastica tendenza, adesso: oltre al termine “puttana” si ricorre a quello di “gay”, come se l’essere puttana o gay possa realmente costituire un’offesa: non c’è nulla di offensivo (nell’esserlo).
Stesso discorso vale per l’orientamento sessuale: un maschio omosessuale resta sempre un uomo, una donna omosessuale resta sempre una donna, a prescindere dal corpo in cui nasce (trans).

4Judith Butler, la scrittrice del libro “Scambio di Genere”, spesso accusata di promuovere l’idea che le persone possano cambiare sesso come ci si cambia d’abito (ndr. queste persone non hanno mai parlato con una persona trans), ha rilasciato in un’intervista questa dichiarazione:

<<In molti mi domandano se io ammetta o no l’esistenza del sesso biologico. Implicitamente, è come se mi stessero dicendo: “bisognerebbe essere pazzi per dire che non esiste!” E in effetti, è vero, il sesso biologico esiste, eccome. Non è né una finzione, né una menzogna, né un’illusione. Ciò che rispondo, più semplicemente, è che la sua definizione necessita di un linguaggio e di un quadro di comprensione esattamente come tutte le cose che possono essere contestate, in linea di principio, e che infatti lo sono. Noi non intratteniamo mai una relazione immediata, trasparente, innegabile con il sesso biologico. Ci appelliamo invece sempre a determinati ordini discorsivi, ed è proprio questo aspetto che mi interessa […] La teoria del genere non descrive “la realtà” in cui viviamo, bensì le norme eterosessuali che pendono sulle nostre teste. Norme che ci vengono trasmesse quotidianamente dai media, dai film, così come dai nostri genitori, e noi le perpetuiamo nelle nostre fantasie e nelle nostre scelte di vita. Sono norme che prescrivono ciò che dobbiamo fare per essere un uomo o una donna.
E noi dobbiamo incessantemente negoziare con esse. Alcuni tra noi sono appassionatamente attaccati a queste norme, e le incarnano con ardore; altri, invece, le rifiutano. Alcuni le detestano, ma si adeguano. Altri ancora traggono giovamento dall’ambiguità… Mi interessa dunque sondare gli scarti tra queste norme e i diversi modi di rispondervi.>>

Quindi mai come adesso l’educazione contro gli stereotipi di genere diventa fondamentale. Noi per primi dobbiamo renderci conto di quanto sia importante parlarne nel nostro quotidiano e di quanto nel nostro stesso abituale lessico adottiamo stereotipi di genere.

E’ vero, il lessico non può fare miracoli né cambiare la società, ma bisogna tenere in mente che, come disse in un’intervista Cecilia Robustelli parlando del suo libro “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano” <<ciò che non si dice non esiste>>. Posto che il concetto di genere è una costruzione culturale e che rimanda appunto alla differenza di ruoli rispetto all’identità considerata “maschile” e l’identità “femminile”, il linguaggio stesso trasmette la discriminazione di genere che vede nei ruoli, nel lavoro, nella relazione, la donna in una posizione inferiore rispetto a quella dell’uomo. E questo è confermato in continuazione dai media che propongono stereotipi nei telegiornali, nelle pubblicità, nelle trasmissioni e così via.
Infatti, l’uomo risponde sempre al concetto di aggressività, forza, razionalità, etc. ed è comunque legato ad ambienti di lavoro professionali, mentre la donna risponde a concetti di sensibilità, emotività, debolezza, etc. ed è legata ad ambienti relativi all’ambiente casalingo o ruoli di frivolezza, correlati all’estetica e alla superficialità.
Questo perché la divisione dei ruoli storicamente ha sempre visto la donna come la persona che si occupava della casa e dei figli/delle figlie e l’uomo come la persona tradizionalmente destinata ai ruoli di potere. Anche oggi che le donne ricoprono diversi tipi di lavoro, la loro occupazione viene considerata come una concessione (quante volte vedendo una donna nel ruolo di manager scatta la battuta: “chi si è fatta per avere quel posto?”). Inoltre una madre che lavora e non si occupa pienamente dei figli/delle figlie affidandosi ad un/a baby sitter viene giudicata una “cattiva” madre mentre se è il padre a non occuparsi dei figli/delle figlie, viene scusato perché pensa al sostentamento della famiglia.

6Mi è capitato qualche giorno fa di partecipare ad un incontro relativo ai dati che riguardano la rappresentazione delle donne nell’informazione, con la presentazione di un manuale che riporta gli studi effettuati dall’Osservatorio di Pavia. I dati emersi non stupiscono: le donne nei telegiornali e nei quotidiani sono rappresentate poco e male, fanno notizia solo in caso di violenza e anche in quel caso si scrivono e si dicono molte castronerie come “uccisa per gelosia/raptus/troppo amore” etc. e comunque sempre “a causa” di un comportamento della donna stessa che “se l’è meritato”. Si è visto che le donne che sono presenti nelle notizie o sono “anonime” rappresentando una categoria generica (studentesse, casalinghe o comunque di professione ignota) oppure, se appartengono a un’identità specifica come una categoria politica o sportiva, non sono presentate con tutti i loro “titoli” come sono presentati gli uomini che invece rappresentano categorie professionali più definite e sono spesso interpellati come “esperti”.

Quello che ho notato a questo incontro è che non c’era nessun* ragazz* al di sotto dei 30 anni. E mi sono chiesta: possibile che non se ne parli? Possibile che quelli che adesso sono i/le giovani e che un giorno saranno il futuro non si interessino di questo argomento che riguarda tutti e tutte?
Poi alla fine mi sono risposta che non c’è da stupirsi, purtroppo gli stereotipi di genere sono indotti nella nostra educazione sin da prima che noi si nasca. Accade sempre più spesso che fenomeni di violenza e di bullismo nei confronti di una donna o di una persona LGBT vengano giustificati senza dare loro il peso e la gravità che meriterebbero.

7Ma non possiamo arrenderci al fatto che sia troppo difficile cambiare la struttura sociale! Dobbiamo agire, e lo facciamo solo se cambiamo il nostro quotidiano, se tutt* iniziamo ad indossare gli “occhiali viola” che ci permettono di vedere quanti stereotipi condizionano il nostro modo di pensare. Perché la violenza parte proprio dalle discriminazioni di genere.
Come spiega il testo “Di Pari Passo. Percorso Educativo contro la violenza di genere” di Nadia Muscialini: “non è così scontato pensare che un essere umano, per il solo fatto di essere al mondo, abbia dei diritti; sono serviti millenni di storia per giungere a questo principio, e ancora oggi il dibattito è aperto”. E’ aperto eccome, e per far valere il diritto di ogni persona alla dignità dobbiamo fare un lavoro molto profondo, prima di tutto su noi stess*, per abbattere tutti quegli stereotipi di genere che perpetriamo senza nemmeno accorgercene. Come possiamo iniziare il cambiamento? Già il fatto di cominciare a rendersi conto di quanti stereotipi di genere ci sono nel nostro quotidiano (media, scuola, famiglia, lavoro) non è un lavoro da poco, anche perché vuol dire cominciare ad abbattere i nostri stessi pregiudizi che si, sono stati indotti dall’educazione ricevuta e dalla società, ma sono talmente radicati dentro di noi che non ci rendiamo conto di quanto possiamo essere discriminanti. Cosa fondamentale è il fatto di riconoscere che ogni PERSONA E’ UNICA a prescindere che sia omosessuale, transessuale, bisessuale, eterosessuale etc.!

Infine, cosa non meno importante, è informarsi, leggere al riguardo. Vi ricordate i libri che vi consigliai l’anno scorso, con l’articolo “Il significato del 25 Novembre”?  Anche stavolta, non posso non segnalare alcuni libri.

E stavolta come suggerimento segnalo appunto tutti i libri detti “libri gender” che il sindaco di Venezia ha deciso di bandire e che consiglio a tutt* di acquistare, anche se molti sono per bambin*, ma i bambini e le bambine possono capire molte cose, che spesso i grandi non capiscono.

I libri consigliati per comprendere l’inesistenza del Gender

 

Giulia Terrosi

 

 

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