Cos’è il TTIP?

Cerchiamo di spiegare in maniera “semplice” i controversi accordi commerciali fra USA e UE.

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Se non avete ancora preso familiarità con l’acronimo TTIP, è probabile che presto ne sentirete parlare sempre più spesso. Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) è una proposta di accordi commerciali ed è attualmente oggetto di una serie continua di negoziati fra Unione Europea e Stati Uniti (attualmente se ne contano 13), volti a creare la più grande zona di libero scambio del Pianeta. Se dovesse essere messo in atto, farebbe impallidire tutti i precedenti accordi di libero scambio; la Commissione Europea ha calcolato che l’economia del vecchio continente potrebbe crescere di 120/180 miliardi di euro, pari allo 0,5%/1% del PIL, e l’economia USA di 100 miliardi di euro, lo 0,4%/0,5% del PIL.

L’obiettivo dichiarato è quello di riuscire a creare milioni di posti di lavoro grazie all’aumento delle esportazioni, Bruxelles sostiene anche che i cittadini potrebbero godere di prodotti e servizi meno costosi; secondo lo studio commissionato nel 2013 dal Center for Economic Policy Research, le famiglie europee potrebbero trarre giovamento per circa 500€ l’anno, grazie agli aumenti salariali e ai costi ridotti di alcuni beni e servizi. Il piano è semplice, ridurre a zero i dazi doganali in settori strategici come l’agricoltura, la siderurgia, l’industria alimentare, la chimica e l’industria automobilistica. I principali beneficiari sarebbero soprattutto le grandi imprese multinazionali, ma anche quelle aziende in grado di esportare fuori dai propri confini. Lo scopo principale del TTIP è quello di abbattere gli ostacoli normativi al commercio, in settori che vanno dalla sicurezza alimentare alle norme ambientali, fino ad arrivare ai regolamenti bancari. Gli oppositori sostengono che tutto ciò servirà ad annacquare importanti regolamenti UE; uno su tutti, i principi cardine sulla sicurezza alimentare, già tema di scontro e importante ostacolo nei precedenti negoziati.

L’opposizione al TTIP è cresciuta in maniera esponenziale e in poco tempo sul territorio europeo, milioni di cittadini hanno firmato petizioni e partecipato a diverse manifestazioni e proteste, gli attivisti sono fermamente convinti dei potenziali pericoli che il TTIP produrrà e hanno dipinto gli accordi come una seria minaccia alla democrazia europea. Le principali preoccupazioni di molte organizzazioni e associazioni sono quelle che il TTIP possa portare ad ulteriori privatizzazioni, con la prospettiva che società statunitensi possano fornire e lucrare indiscriminatamente su servizi vitali e pubblici come i trasporti locali, l’istruzione, l’acqua e la sanità. Un altro grande timore è dovuto principalmente al fatto che determinati standard qualitativi in vari settori, in primo luogo quello alimentare, possano essere intaccati dagli accordi e quindi rivisti al ribasso, a discapito dei consumatori. Uno degli elementi più controversi del TTIP è la cosiddetta “Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato” (Investor-state dispute settlement, o brevemente ISDS), questa sigla incomprensibile significa che gli investitori privati possono richiedere un tribunale di arbitri internazionali per giudicare se un governo li ha trattati ingiustamente, e quindi potrebbero rivalersi su di essi ed ottenere dei risarcimenti. Negli ultimi dieci anni alcune grandi aziende, soprattutto americane, come la Philip Morris, hanno usato l’ISDS per rivendicare diritti. Questo provvedimento servirebbe, in teoria, per consentire agli investitori privati di citare in giudizio i governi per la perdita di profitti futuri a causa di decisioni prese dai parlamenti nazionali. I critici dicono che potrebbe essere usata per attaccare i servizi pubblici, spianando così la strada alle privatizzazioni selvagge dei servizi.

Barack Obama ha dichiarato di voler concludere l’accordo prima della fine del suo mandato, ma il tutto è ancora in alto mare. In seguito alla conclusione dei negoziati, il progetto dovrà essere approvato dai 28 governi dell’Unione Europea, dal parlamento europeo e dai vari parlamenti dei Paesi dell’Unione; probabilmente entro il 2017 gli accordi non vedranno la luce. Forse converrebbe a tutti fermarsi un po’, e a bocce ferme, ridisegnare ciò che può essere realmente utile ed economicamente vantaggioso per far ripartire il motore alla nostra cara Europa, ferma al palo da ormai troppo tempo.

Angelo Veneziano

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