La trappola di Erdogan

Ieri mattina, due F16 turchi hanno abbattuto un bombardiere SU-24 russo, per via di un loro presunto sconfinamento nello spazio aereo anatolico (ancora da dimostrare). Quel che fin da settembre si temeva, ovvero il rischio di uno scontro tra le forze che si contendono i cieli della Siria, è divenuto realtà.

Quali saranno le conseguenze? Si deve davvero paventare una nuova guerra?

Qualcuno, infatti, ha già paragonato l’incidente di ieri a una nuova Sarajevo (niente di meno). Come se il pilota russo bersagliato dall’aviazione di Ankara (e ucciso a terra dai ribelli turcomanni), fosse in qualche modo paragonabile all’arciduca Francesco Ferdinando. Naturalmente, non è così. E le cassandre della Terza Guerra Mondiale possono tornare a riposarsi (anche se non si sa per quanto).

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L’incidente, se così vogliamo chiamarlo (l’abbattimento è stato del tutto intenzionale, pare sia stato ordinato dal primo ministro Davutoglu in persona), è certamente gravissimo e segna un punto di rottura con pochi precedenti nelle relazioni tra Mosca e Ankara. Ma una guerra tra i due Paesi, vicini nel Mar Nero e negli affari, resta uno scenario abbastanza improbabile. I rapporti economici tra i due partner sono molto profondi ed ancora in espansione, così come la collaborazione energetica e tecnologica (i turchi si avvarranno dell’expertise russa per la costruzione di centrali nucleari). Ma soprattutto, Putin non può inimicarsi Erdogan per un semplice motivo: i Dardanelli. Gli Stretti turchi, da secoli uno dei primi crucci geopolitici di Mosca, tengono letteralmente in scacco la Russia e le sue ambizioni di potenza nel Mediterraneo. Proprio oggi, al culmine di un delicato e controverso intervento in Siria (su cui Putin si sta giocando buona parte della sua credibilità internazionale), i russi non possono rischiare di venire tagliati fuori dall’accesso alle loro basi di Tartus e Latakia.

Erdogan sa tutto questo e si permette di giocare con il fuoco, come al suo solito. Probabilmente immagina che la sua strategia del “rischio incalcolabile” porterà i suoi frutti, come già avvenuto sul fronte interno. Non è passato molto, infatti, dalla vittoria elettorale dell’AKP, ottenuta dopo una campagna elettorale a dir poco violenta e censoria (tutti ricorderanno gli attentati di Ankara e di Suruç, un po’ meno quelli che rammenteranno le chiusure dei quotidiani e gli arresti dei giornalisti).

Ma la politica internazionale non è come quella interna. Gli attori in gioco sono molti di più, e soprattutto non possono essere manovrati come quelli di casa propria. Un caso emblematico è dato proprio dall’ISIS, un cavallo imbizzarrito, finora sfuggito a ogni tentativo esterno di manipolazione (ci hanno provato, oltre ai turchi, qatarioti e sauditi: senza alcun apparente successo). Non è detto che la tregua tra Ankara e i jihadisti (in funzione anticurda) regga, soprattutto se i turchi verranno costretti dai propri alleati ad agire più incisivamente contro il Daesh. La Russia, come abbiamo visto, è vulnerabile per gli Stretti. Ma la sua pazienza è in via di esaurimento ed Erdogan sa benissimo che con questa mossa si è giocato buona parte del proprio margine di manovra verso Mosca. Di certo, non potrà manipolarla.

Anche la NATO potrebbe stancarsi presto dei capricci del suo membro più inaffidabile. Ma questo non vuol dire che abbandonerà, di punto in bianco, l’alleanza con un partner così strategico. Anzi, sta già facendo buon viso a cattivo gioco, coprendo le spalle a una Turchia improvvisamente isolata e sulla difensiva. Una mossa che può anche essere ammissibile, per convenienza tattica o diplomatica. Ma che non dovrà travalicare i suoi confini politici. Nel momento in cui lo scontro dovesse assumere dei contorni militari (ipotesi, come dicevamo, remota, ma mai dire mai), i membri della NATO dovranno stare attenti a non cadere nella trappola di una contrapposizione con la Russia. Non è minimamente nel nostro interesse, né ovviamente nell’interesse di Mosca. Farebbe solo il gioco (sporco) di Erdogan. E dell’ISIS, non a caso.

Damasco val bene una guerra. Ma non due.

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