Questi giovani senza valori!

Aprirò spazi dove milioni di uomini vivranno non sicuri, ma liberi e attivi. Verdi, fertili i campi; uomini e greggi subito a loro agio sulla terra nuovissima, al riparo dell’argine possente innalzato da un popolo ardito e laborioso. Qui all’interno un paradiso in terra, laggiù infurino pure i flutti fino all’orlo; se fanno breccia a irrompere violenti, corre a chiuderla un impeto comune. Sì, mi sono votato a questa idea, la conclusione della saggezza è questa: merita libertà e la vita solo chi ogni giorno le deve conquistare.

Urfaust, J. W. von Goethe.

 

Capita spesso, a me come pure son sicuro a voi, di trovarvi in quelle situazioni che sembrano senza via di uscita. Zugwang.

Difficilmente parole prese in prestito da altri campi semantici si prestano bene ad essere incastrate un discorso ma Zugzwang fa una piacevole eccezione. Precisamente questa parola identifica una mossa obbligata negli scacchi, in cui, dato il livello raggiunto, la mossa è non solo decisiva ma spesso, si è in dubbio tra poche scelte ed entrambe porteranno un peggioramente della situazione.

Ma torniamo alla situazione con cui ho aperto. Dicevo. Quelle situazioni che sembrano senza via d’uscita. Avete presente quando discutete con qualcuno e quel qualcuno ha trincerato la propria posizione dietro un’arrocco? Ok, facciamo che la finisco con gli scacchi. Ma seriamente, vi è mai capitato? Sono sicuro di si.

E la cosa grave è che più la discussione verte su temi sensibili ad atteggiamenti e paradigmi che sposano e poggiano sull’etica e la morale, maggiormente la chiusura avviene.

Cosa intendo? Religione. Politica. Maniere. Tradizioni. Filosofia. No, non quella alta. Filosofeggiamenti diciamo. Di quelli che fanno trasalire. Ecco. Le classiche chiacchiere del periodo uscite da chi non se ne intende giusto per darsi un tono. E che tono.

Sia giusto il caso che mi ritrovai non poco tempo fa con una persona che mi lamentava di un’altra persona, testuali parole. “mah! Questi giovani stanno crescendo senza valori. Dov’è la religione? E poi che toni insolenti!”. Suvvia, è un qualcosa con cui ci confrontiamo spesso. Ed è inutile che si usino gli intercalare “caro”, “amico mio” o quale che sia. Si è in difetto. Sono mezzucci di una pochezza argomentativa che farebbe impallidire chiunque si trovi al di qua di una certa linea.

Ma quali sono questi valori? Qual è quest’insolenza? Mi venne riportato si discuteva di stato cattolico e laico (che è ancora cattolico ma non ordinato e già questo dovrebbe far capire il tenore intellettuale dei partecipanti, due galli da cortile insomma) e di famiglia e di importanza dei sacramenti. E fin qui bene. Quando diventa male? Quando ci si erge in virtù di una verità autoproclamata tale e tautologica e lo si fa discriminando puntando il dito dando una differenza tra noi e loro. E da cosa deriva questo? Dalla paura. Perché se non si è parte di qualcosa, non si è.

E, chiediamoci, chi si comporta così, è libero e attivo? O ha accettato una verità che ritiene tale e con cui è mezzo di oppressione di altri? Chi può giudicare cosa? Chi può additare in nome di quale valore? Chi decide cosa? Chi parla per chi?

Durante l’anno passato, sono stato ospitato nei miei studi a Roma, da un vicario di Cristo. Un uomo dall’animo nero. Che ha instillato la colpa negli animi di tanti ragazzi. Di omosessuali. Di persone definite da lui stesso “tormentate”. Da anziane con disturbi paranoico schizoide che invece di essere curate e ricevere assistenza, venivano convinte di essere possedute. E posso testimoniare di aver visto persone trattenute contro voglia, mentre altri esercitavano preghiere di liberazione perché preoccupate per l’incolumità dell’anima di quella persona. Perché loro avevano la cura. Sempre la stessa persona, affermava di parlare in sogno con i santi. E sempre la stessa persona, attraverso una parola magica, illudeva le altre persone di prevedere malattie.

Queste persone, sono al di là di quell’argine. Quell’argine fatto di fiumi di miserie sventolate come ostie benedette. Di peccati e di santi. Di presunzione, arroganza, malvagità e ignoranza.

Io stesso sono stato molte volte tacciato con battute ironiche tese a sminuire l’argomentazione. Ancora una volta segno di una pochezza argomentativa, fatta di chi ha bisogno di nascondersi dietro un concetto, dietro una fede, dietro un ideale non suo ma riflesso. E che quindi non esiste. Perché è solo rappresentazione di un’immagine.

Merita libertà e la vita solo chi ogni giorno le deve conquistare. Non con le menzogne. Non con supponenza. Non con irruenza. Non con violenza. Non con presunzione. Non con arroganza.

Ma con la semplicità e la forza di un bambino che chiedendo perché, tira giù le coperte con cui copriamo la nostra realtà giorno dopo giorno. Dopo giorno. Dopo giorno. E se copriamo è per evitare di scoprire con quel Dorian che fu, di essere vecchi noi stessi, con la nostra morale. E ancora peggio, con la nostra mente.

E lì, caro popolo ardito e laborioso, quello è il punto in cui quella breccia violenta e furiosa di cui parla Goethe, ormai è entrata dentro di noi. E abbiamo finito di essere liberi. Perché saremo i carcerieri di noi stessi.

 

Alla vita! Alla conquista!

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